MEDITERRANEO: SUCCESSO DELL’OPERAZIONE MARINA PER INSTALLARE LE NUOVE STRUTTURE  DEL RIVELATORE DI NEUTRINI KM3NET/ARCA

MEDITERRANEO: SUCCESSO DELL’OPERAZIONE MARINA PER INSTALLARE LE NUOVE STRUTTURE DEL RIVELATORE DI NEUTRINI KM3NET/ARCA

Si è conclusa con pieno successo nelle prima ore di ieri 14 giugno la complessa operazione marina, iniziata lo scorso 2 giugno, effettuata dalla Collaborazione scientifica KM3NeT al sito abissale al largo di Capo Passero, in Sicilia, per ampliare l’apparato ARCA (Astroparticle Research with Cosmics in the Abyss).

KM3NeT è l’ambizioso progetto internazionale per la ricerca sui neutrini nel Mediterraneo che comprende gli apparati sottomarini ARCA, per la ricerca di neutrini cosmici fino a energie estreme, e ORCA (Oscillation Research with Cosmics in the Abyss), dedicato allo studio dei meccanismi di oscillazione dei neutrini. L’apparato ARCA consiste in una rete di stringhe, dette linee di rivelazione, alte fino a 700 metri e ancorate al fondale marino, ciascuna delle quali è equipaggiata con più di 500 rivelatori ultra-sensibili (fotomoltiplicatori) installati in 18 moduli ottici. Il sito di installazione è a 3.500 metri di profondità, a circa 80 chilometri dalla costa.

Quella appena conclusa è stata la prima campagna marina di KM3NeT durata ben due settimane. Tale infatti era il volume della strumentazione da installare che è stato necessario effettuare le operazioni in due fasi: durante la prima fase sono state installate due junction box, le strutture sottomarine utilizzate per il collegamento delle linee di rivelazione e che permettono di comunicare con la stazione di controllo dell’apparato a riva, e 4 nuove linee di rivelazione. Nella seconda fase sono state installate 7 nuove linee di rivelazione.

Come risultato di questa operazione, la dimensione dell’apparato sottomarino ARCA è più che raddoppiata, comprendendo ora 19 linee di rivelazione, equipaggiate in totale con più di 10.000 fotomoltiplicatori. Il volume dell’apparato è già circa 2,5 volte più grande dell’apparato predecessore ANTARES

Base di partenza per le operazioni è stato come per le precedenti operazioni il porto di Malta. La nave utilizzata è la Handin Tide, della ditta Fugro, già utilizzata con successo nella campagna marina dello scorso settembre.

“Enorme è stato lo sforzo della Collaborazione KM3NeT per garantire che tutte le operazioni potessero essere completate con la massima sicurezza ed efficienza”, spiega Klaus Leismüller dei Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN che ha coordinato le operazioni a bordo della nave. “Questo è stato possibile – prosegue Leismüller – grazie alla dedizione e professionalità della squadra internazionale di persone provenienti da una decina di laboratori in Italia, Francia e Olanda, impegnate nelle delicate operazioni in mare e anche a terra, dove in 30 si sono alternati nelle attività di test nella stazione di controllo dell’apparato a Capo Passero”.

Con questa operazione ci si avvia verso il completamento del progetto IDMAR, cofinanziato dalla Regione Sicilia nell’ambito del Po-Fesr 2014-2020. “Il pieno successo di questa campagna”, sottolinea Giacomo Cuttone, ricercatore dei Laboratori Nazionali del Sud e responsabile nazionale di KM3NeT, “è un risultato fondamentale per IDMAR e dimostra che abbiamo pieno controllo sulle complesse operazioni marine necessarie per la realizzazione di KM3NeT”.

“Operazioni complesse come questa appena conclusa sono la dimostrazione del livello di precisione raggiunto nella costruzione delle strutture da installare nelle profondità marine e nella affidabilità delle operazioni di installazione”, commenta Paolo Piattelli, ricercatore dei Laboratori Nazionali del Sud del’INFN e Operation Manager di KM3NeT/ARCA. “L’installazione di 7 linee di rivelazione in meno di 48 ore durante la seconda fase della campagna rappresenta un record di velocità che ci permette di programmare il proseguimento della costruzione dell’apparato in tempi compressi”, conclude Piattelli.

KM3NeT è una collaborazione internazionale composta da più di 250 persone provenienti da quasi 60 istituti in tutto il mondo. Il progetto è inserito nella roadmap Europea delle grandi infrastrutture di ricerca (ESFRI – European Strategy Forum on Research Infrastructures). L’INFN è tra i maggiori enti di ricerca impegnati in KM3NeT, con gruppi di ricerca attivi presso i Laboratori Nazionali del Sud e le Sezioni di Bari, Bologna, Catania, Genova, Napoli con il gruppo collegato di Salerno, e Roma, in collaborazione con le corrispondenti università.

IDMAR è un progetto finanziato dalla Regione Siciliana sul PO-Fesr 2014-2020, azione 1.5.1 per il potenziamento delle infrastrutture di ricerca marittima in Sicilia.

 

 

 

SVEZIA: CRESCE L’ACCELERATORE LINEARE DELL’EUROPEAN SPALLATION SOURCE

SVEZIA: CRESCE L’ACCELERATORE LINEARE DELL’EUROPEAN SPALLATION SOURCE

In Svezia, presso il centro di ricerca ESS European Spallation Source che ospiterà a Lund la più potente sorgente di neutroni al mondo, i primi protoni hanno attraversato il Drift Tube Linac 1, DTL1, uno dei componenti fondamentali dell’acceleratore di ESS realizzato in Italia da ricercatori e ricercatrici INFN.

Il DTL è un acceleratore lineare costituito da una sequenza di spazi acceleranti che consentono ai protoni di guadagnare energia ogni volta che vi passano attraverso. Gli spazi acceleranti sono alternati a tubi, dove le particelle vanno semplicemente alla deriva, da qui il nome “Drift Tube Linac”, in italiano letteralmente “acceleratore lineare a tubi di deriva”.
L’acceleratore lineare di ESS sarà, nel complesso, composto da cinque DTL, che accelereranno i protoni, prodotti da una sorgente di ioni realizzata in Italia presso i Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN, da 3,6 a 90 MeV, energia a cui i protoni viaggiano a circa metà della velocità della luce.
Dopo essere stati accelerati all’interno dei DTL, i protoni attraverseranno la componente superconduttiva dell’acceleratore di ESS, costruita in parte dal laboratorio INFN LASA di Milano, per raggiungere un’energia di 2 GeV, arrivando a muoversi a una velocità pari al 95% della velocità della luce, per poi essere direzionati su un bersaglio per generare i neutroni.

Ad oggi, i ricercatori che lavorano all’esperimento hanno completato l’installazione del primo DTL di ESS, dove sono stati accelerati i primi protoni che hanno raggiunto un’energia di oltre 20 MeV. Quando sarà pienamente operativo, con tutte le sue cinque componenti in funzione, il DTL di ESS sarà il Drift Tube Linac più potente al mondo.
I cinque componenti del DTL sono stati progettati da ricercatori dei Laboratori Nazionali di Legnaro e della Sezione di Torino dell’INFN, che hanno anche coordinato tutte le fasi relative al test e all’installazione dei DTL.

“Partecipare al design e alla costruzione di un’infrastruttura di ricerca d’avanguardia come ESS è una opportunità importante quanto rara, si tratta infatti di grandi progetti che per essere realizzati devono contare sull’impegno e le competenze specifiche di molti gruppi internazionali: in questo contesto, il nostro contributo è stato determinante e al contempo anche il ritorno per il nostro personale e per il nostro istituto è di estremo valore,” racconta Francesco Grespan, ricercatore presso i Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN e responsabile nazionale per il DTL di ESS.

Il centro di ricerca multidisciplinare ESS, attualmente in costruzione in Svezia, sarà la sorgente di neutroni più potente al mondo quando entrerà in funzione nel 2025. ESS fornirà opportunità di ricerca uniche per migliaia di scienziati in una vasta gamma di settori, dalla scienza dei materiali all’energia, dalle scienze della vita alle applicazioni per i beni culturali.

BASSES, TRE GIORNI ALL’INSEGNA DELLE SINERGIE TRA FISICA E NEUROSCIENZE

BASSES, TRE GIORNI ALL’INSEGNA DELLE SINERGIE TRA FISICA E NEUROSCIENZE

È sempre più stretto il rapporto che lega la fisica alle neuroscienze, e allo studio delle strutture e dei meccanismi cerebrali alla base delle funzioni cognitive. Grazie alle metodologie sviluppate nel campo dell’indagine teorica e sperimentale sui costituenti ultimi della materia, la fisica è, infatti, in grado di fornire strumenti efficaci per lo sviluppo e la verifica di modelli e simulazioni che descrivono il complesso sistema neurale. Sono queste ricerche interdisciplinari, e i risultati finora raggiunti dallo Human Brain Project (HBP), il progetto scientifico che vuole arrivare a simulare il funzionamento del cervello umano grazie ai progressi nei settori della diagnostica per immagini e dell’analisi computazionale, al centro del workshop BASSES (Brain Activity across Scales and Species: Analysis of Experiments and Simulations), organizzato dalla sezione INFN di Roma, che si svolgerà il 13, il 14 e il 15 giugno a Roma.

“Il principale contributo dell’INFN in questo workshop – spiega Giulia de Bonis, ricercatrice della sezione INFN di Roma e Scientific Chair del BASSES Workshop – riguarda le ricerche sull’origine delle funzioni cognitive, in particolare l’analisi dei dati, lo sviluppo di modelli e le simulazioni, e lo studio e la realizzazione di algoritmi ispirati dalla biologia”. “È su queste attività, infatti, che si concentra il lavoro del nostro gruppo, che sfrutta, per l’analisi dei dati di fenomeni e meccanismi cerebrali, un approccio basato sulle metodologie nate nel settore della fisica.”

In particolare, durante il workshop saranno presentati alcuni recenti risultati ottenuti dai ricercatori INFN, quali metodi innovativi per l’analisi di dati corticali e per la costruzione e validazione di modelli, l’implementazione di simulazioni in grado di riprodurre l’insieme degli impulsi neurali (spiking) e nuovi modelli di apprendimento elaborati a partire dello studio dei meccanismi cerebrali. Tra i più recenti, un articolo apparso sulla rivista Plos Computational Biology, che dimostra come un modello talamo-corticale calibrato per esprimere stati cerebrali analoghi a quelli della veglia e del sonno apprenda in maniera più rapida e riconosca più velocemente i segnali in un contesto rumoso.

BASSES è finanziato dallo HBP, dal Comitato dell’Istruzione dell’Unione Europea e da EBRAINS, infrastruttura europea per la promozione della ricerca sulle funzioni e sulle malattie cerebrali, grazie alle risorse assegnate all’INFN a seguito di una call competitiva. Un riconoscimento che testimonia il contributo dell’INFN, dal 2015 coinvolto nello HBP come capofila del consorzio WAVESCALES (WAVE SCALing Experiments and Simulations), alle ricerche nella modellizzazione e nella simulazione del funzionamento cerebrale su grande scala. 

NASCE LA COLLABORAZIONE SCIENTIFICA EINSTEIN TELESCOPE

NASCE LA COLLABORAZIONE SCIENTIFICA EINSTEIN TELESCOPE

La comunità che lavora al progetto ET Einstein Telescope per la realizzazione del futuro pionieristico osservatorio di onde gravitazionali europeo ha formalmente sancito la nascita della Collaborazione scientifica Einstein Telescope, nel corso del XII Simposio di ET che si è tenuto all’Accademia ungherese delle Scienze di Budapest, il 7 e 8 giugno.

“Il XII Simposio di Einstein Telescope che si è appena concluso rappresenta un passaggio cruciale nel percorso del progetto perché ha segnato la nascita della vera e propria Collaborazione scientifica ET”, commenta Michele Punturo, ricercatore dell’INFN che è stato fino ad ora alla guida della comunità di ET e adesso ricoprirà il ruolo di portavoce della collaborazione. “Eravamo una comunità scientifica, oggi siamo una collaborazione scientifica, ossia un sistema strutturato e organizzato che lavora seguendo regole condivise per il raggiungimento del comune obiettivo: la realizzazione di Einstein Telescope, una grande infrastruttura di ricerca europea che ci porterà al centro della scienza mondiale e ci consentirà di mantenere la leadership scientifica e tecnologica in questo promettente settore di ricerca della fisica fondamentale. Questo è dunque per tutti noi un momento di grande soddisfazione e motivazione”, conclude Punturo.

“Oggi è un momento storico per ET perché sancisce la nascita della Collaborazione scientifica di quello che sarà uno straordinario strumento di scienza e conoscenza: ET ci consentirà di risalire, attraverso le onde gravitazionali, fino alle prime strutture dell’universo”, spiega Marica Branchesi, professoressa del GSSI e ricercatrice all’INFN, coordinatrice dell’Observational Science Board (OSB). “Nella Collaborazione abbiamo già un Observational Science Board con più di quattrocento persone che stanno lavorando su differenti temi scientifici, dalla fisica fondamentale alla fisica nucleare, dall’astrofisica alla fisica astroparticellare, alla cosmologia. ET sarà veramente rivoluzionario per la nostra comprensione dell’universo lungo la sua storia cosmica”, conclude Branchesi.

L’evento ha visto la partecipazione, in presenza e da remoto, di 438 scienziati provenienti da 13 Paesi, che si sono confrontati sulle sfide tecnologiche che dovranno essere affrontate per arrivare alla costruzione della nuova grande infrastruttura di ricerca, e sui progressi scientifici e tecnici compiuti negli ultimi mesi da ciascun gruppo di lavoro di ET.

La Direzione del progetto, affidata all’olandese Jo van den Brand di Nikhef e all’italiano Fernando Ferroni del GSSI e dell’INFN, ha presentato la prospettiva delle istituzioni scientifiche che stanno sostenendo ET.

Sono stati inoltre presentati all’intera collaborazione il progetto INFRA-DEV Horizon EU, approvato per supportare la fase di preparazione dell’esperimento, e la proposta INFRA-TECH Horizon EU, recentemente presentata a Bruxelles per sostenere le attività di R&D. 

Durante il Simposio è stato costituito il Consiglio di Collaborazione di ET, presieduto dal tedesco Harald Lueck del Max Planck Institute e composto dai rappresentanti di ciascuno dei 79 gruppi di ricerca che fanno parte della collaborazione. Durante la prima riunione del Consiglio, la Collaborazione ha anche discusso il nuovo statuto di Einstein Telescope che regolerà il futuro dell’esperimento, e ha avviato le procedure per istituire i comitati necessari al funzionamento tecnico e organizzativo della collaborazione.

Con la nascita della Collaborazione ET, il simposio depone così una pietra miliare del lungo cammino di Einstein Telescope.

 

 

 

 

CINA: INSTALLATI CON SUCCESSO I PRIMI IMPIANTI DI PURIFICAZIONE DEL FUTURO OSSERVATORIO DI NEUTRINI JUNO

CINA: INSTALLATI CON SUCCESSO I PRIMI IMPIANTI DI PURIFICAZIONE DEL FUTURO OSSERVATORIO DI NEUTRINI JUNO

Costruire un gigantesco esperimento sotterraneo per la rivelazione dei neutrini nel sud della Cina: è questo l’obiettivo della collaborazione JUNO Jiangmen Underground Neutrino Observatory, a cui l’INFN fornisce essenziali contributi tecnologici e scientifici da oltre nove anni. In particolare, i ricercatori dell’INFN hanno progettato, realizzato e, di recente, installato due grandi impianti per la purificazione ottica e radioattiva dello scintillatore dell’esperimento, ovvero delle 20.000 tonnellate di liquido che costituiranno il cuore di JUNO e che permetteranno la rivelazione dei neutrini.

Attualmente la collaborazione JUNO sta procedendo a pieno regime alla costruzione del rivelatore, e il gruppo INFN ha di recente portato a termine la prima fase dell’installazione dei due grandi impianti di purificazione dello scintillatore, realizzati in collaborazione con la ditta italiana Polaris. Lo scopo di questi impianti è la purificazione ottica e radioattiva dell’alchilbenzene lineare (LAB), il liquido utilizzato dall’esperimento come scintillatore, mediante due tecniche ampiamente utilizzate e ottimizzate nell’ambito dell’esperimento Borexino, che ha operato per oltre dieci anni ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN ottenendo attraverso lo studio dei neutrini risultati fondamentali sui processi che alimentano le stelle come il nostro Sole. Il primo degli impianti appena installati a JUNO sfrutta la tecnica della distillazione in parziale vuoto per rimuovere impurezze ottiche e contaminanti radioattivi pesanti; il secondo si occupa, invece, della rimozione di gas radioattivi comunemente presenti nell’atmosfera, attraverso una tecnica detta “steam stripping”.

I due apparati, spediti presso il sito di JUNO nella seconda metà del 2020, sono stati installati solo di recente a causa delle restrizioni legate alla pandemia, attraverso difficili operazioni di montaggio durate oltre 5 settimane.

“Era assolutamente necessario portare a termine questa parte della nostra attività per non bloccare altre installazioni sotterranee connesse con i nostri impianti,” raccontano Paolo Lombardi e Michele Montuschi, ricercatori delle Sezioni INFN di Milano e Ferrara, che hanno guidato i complessi lavori di montaggio, e aggiungono: “Il successo delle operazioni è stato possibile grazie alla precisione del lavoro preparatorio durante il quale, prima di recarci in Cina, avevamo pianificato tutti gli aspetti delle installazioni da eseguire”.

“Grazie al completamento con successo della prima tappa dell’installazione degli impianti, le nostre attività preparatorie per la purificazione dello scintillatore restano perfettamente in linea con la scaletta temporale con cui procede la costruzione di JUNO, nonostante i ritardi legati alla pandemia”, aggiungono Fabio Mantovani, responsabile del gruppo JUNO di Ferrara, e Gioacchino Ranucci, responsabile del gruppo di Milano, del gruppo nazionale e viceresponsabile internazionale di JUNO.

L’esperimento JUNO misurerà gli antineutrini artificiali provenienti da un complesso di reattori nucleari situati a 53 km di distanza per studiare la cosiddetta “oscillazione dei neutrini”, quel fenomeno per cui queste elusive particelle, presenti in natura in tre diverse tipologie, mutano da un tipo in un altro. Nello specifico, JUNO indagherà la loro gerarchia di massa, cioè l’ordine in cui sono disposte le masse dei tre tipi di neutrino. L’esperimento osserverà, inoltre, una pluralità di neutrini di origine naturale, che comprendono i neutrini solari, atmosferici, terrestri, da supernova, generando un’approfondita e articolata linea di indagine nel campo della fisica astroparticellare.

Per raggiungere questi obiettivi, JUNO si avvarrà di 20.000 tonnellate di scintillatore liquido molto puro e a bassa contaminazione ambientale e di più di 40.000 fotomoltiplicatori, che consentiranno di rivelare la luce prodotta dai neutrini quando interagiscono con lo scintillatore. La stessa tecnologia impiegata con grande successo dall’esperimento Borexino, appena conclusosi ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN. Ed è proprio grazie alla lunga e proficua esperienza accumulata in tre decenni ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN nello studio dei neutrini che l’INFN contribuisce a JUNO con apporti tecnologici e scientifici assolutamente essenziali per il successo dell’esperimento.

A CACCIA DI MATERIA OSCURA CON SENSORI QUANTISTICI DI NUOVA GENERAZIONE

A CACCIA DI MATERIA OSCURA CON SENSORI QUANTISTICI DI NUOVA GENERAZIONE

Un contributo innovativo nella ricerca della materia oscura potrebbe arrivare dallo sviluppo di dispositivi basati su proprietà quantistiche. Interessanti progressi in questo settore, nel quale è impegnato anche l’INFN, sono stati recentemente ottenuti nell’ambito delle attività promosse da SQMS (Superconducting Quantum Materials and Systems Center), il centro del Fermilab finanziato dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) e dedicato alla ricerca di nuove tecnologie per il quantum computing e il quantum sensing. Uno studio, pubblicato il 9 maggio sulla rivista Physical Review Applied e guidato dall’INFN – unico partner non statunitense di SQMS – dimostra come le prestazioni degli aloscopi – sensori dedicati alla rivelazione di una particolare categoria di particelle candidate a costituire la materia oscura, gli assioni – possano essere incrementate grazie all’utilizzo di nuove tipologie di cavità risonanti nelle microonde con un’alta sensibilità.

Introdotto a partire dagli anni ‘70 nel contesto del problema della violazione della simmetria di carica e parità nelle interazioni forti, l’assione si è rivelato anche un buon candidato per la materia oscura per la sua massa estremamente ridotta e la sua limitata capacità d’interazione con la materia ordinaria. Proprio per sondare l’esistenza di queste particelle, nel 1982, il fisico teorico Pierre Sikivie, ideò e propose una specifica tipologia di dispositivi chiamati aloscopi perché sondano l’alone di materia oscura della nostra galassia, che avrebbero avuto in seguito un’ampia diffusione e vengono oggi sviluppati in vari laboratori in Europa, Stati Uniti, Corea del Sud e Australia.

“Se degli assioni venissero rivelati in un aloscopio, sarebbero convertiti in fotoni all’interno di cavità risonanti in presenza di un campo magnetico molto intenso, la cui ampiezza è milioni di volte quella del campo magnetico terrestre”, spiega Giovanni Carugno, ricercatore della sezione INFN di Padova e responsabile del laboratorio in cui è stato condotto il lavoro.

Tra le sfide su cui gli scienziati si stanno concentrando per tentare di aumentare le probabilità di rivelare tracce di assioni c’è la ricerca di soluzioni per migliorare la sensibilità degli aloscopi connessa al parametro denominato ‘fattore di merito’, rendendoli capaci di esplorare frequenze più elevate di quelle sondate finora. A tal fine, la strategia adottata dai gruppi del Fermilab e dell’INFN che lavorano a SQMS è quella di puntare a incrementare l’efficienza del processo di conversione assione-fotone attraverso due approcci paralleli: da un lato l’adozione di materiali superconduttori e dall’altro lo sviluppo di risuonatori dielettrici.

“La cavità risonante oggetto del nostro studio”, spiega Caterina Braggio, ricercatrice dell’Università di Padova associata alla sezione di Padova dell’INFN e corresponding author dell’articolo pubblicato su Physical Review Applied, “è stata realizzata inserendo due gusci di materiale dielettrico in una cavità cilindrica convenzionale in rame. Questa particolare geometria di cavità consente di sopprimere l’emissione di fotoni da parte delle pareti della cavità stessa, limitando in questo modo i processi dissipativi è ottenendo quindi elevati fattori di merito.”.

Nonostante il prototipo descritto nel lavoro sia caratterizzato da un volume ridotto, i risonatori dielettrici che l’INFN sta sviluppando avranno un forte impatto nella comunità scientifica che lavora allo sviluppo di rivelatori di assioni. “Grazie a un’adeguata progettazione dei gusci dielettrici, questi risuonatori dielettrici potranno sondare range di masse interessanti in intervalli di tempo ragionevoli”, conclude Caterina Braggio.

IL PREMIO ALDO MENZIONE A RENÉ BRUN E PANTALEO RAIMONDI

IL PREMIO ALDO MENZIONE A RENÉ BRUN E PANTALEO RAIMONDI

I fisici René Brun e Pantaleo Raimondi hanno ricevuto ieri il premio Aldo Menzione per i loro contributi eccezionali allo sviluppo di innovative tecniche di rivelazione. Il premio, del valore di 2500€, è stato assegnato dall’associazione “Frontier Detectors for Frontier Physics” nel corso di una cerimonia che si è svolta a La Biodola, nell’Isola d’Elba, in occasione della conferenza internazionale “15th Pisa Meeting on Advanced Detectors : Frontier Detectors for Frontier Physics”, organizzata dalla Sezione INFN di Pisa, dal Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa e dal Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’ambiente dell’Università di Siena.
In particolare, René Brun, ricercatore del CERN, ha ricevuto il riconoscimento per aver sviluppato i software PAW e ROOT, strumenti fondamentali per l’analisi dei dati sperimentali nel campo della fisica delle particelle. E Pantaleo Raimondi, già direttore della divisione acceleratore e sorgente di ESRF e della divisione acceleratori dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, è stato premiato per aver ideato e sviluppato la tecnica del “Crab Waist”, dimostrata per la prima volta nel 2008 all’acceleratore DAFNE dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, e che si è rivelata uno strumento cruciale per riuscire a focalizzare i microfasci di particelle nei collisori elettrone-positrone.

 

Il premio è intitolato alla memoria di Aldo Menzione. Fisico dell’INFN di fama internazionale, Menzione ha vinto nel 2009 il prestigioso Premio Panosfky per la fisica delle particelle elementari, per la progettazione e costruzione del primo tracciatore di vertice al silicio. Un rivelatore che ha consentito la scoperta, nel 1995, del quark top al Fermilab di Chicago, e aperto nuove strade alla fisica delle collisioni adroniche di altissima energia. (DP)

A SPARC_LAB LA PRIMA LUCE FEL CON ELETTRONI ACCELERATI DA PLASMA

A SPARC_LAB LA PRIMA LUCE FEL CON ELETTRONI ACCELERATI DA PLASMA

Acceleratori ultracompatti e a basso costo al servizio della fisica di base e per applicazioni utili anche in altri settori: questa è sicuramente una delle grandi sfide degli acceleratori del futuro. Una soluzione attraente per riuscire a costruirli potrebbe essere quella di sfruttare le onde generate in un plasma per accelerare le particelle. Tuttavia, nonostante gli altissimi gradienti acceleranti prodotti in un plasma (fino a tre ordini di grandezza superiori rispetto alle macchine convenzionali basate su tecnologia a radio-frequenza), il loro utilizzo è stato finora limitato a causa della bassa qualità del fascio prodotto. Ora, un esperimento condotto dai ricercatori del gruppo SPARC_LAB ai Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN è riuscito a dimostrare per la prima volta che è possibile utilizzare un fascio di alta qualità accelerato da un’onda di plasma per generare radiazione coerente in un Free Electron Laser (FEL) nello spettro dell’infrarosso. Lo studio è pubblicato oggi, 25 maggio, su Nature.

“La tecnica di accelerazione al plasma consentirà di realizzare acceleratori in spazi molto ridotti, contenendo i costi di costruzione delle infrastrutture ospitanti, e rendendo così questa tecnologia più accessibile e disponibile anche per applicazioni mediche in ospedali opportunamente attrezzati, e tanto più nel caso di infrastrutture sotterranee come quelle necessarie per gli acceleratori ad alta energia per la fisica delle particelle”, sottolinea Riccardo Pompili, Principal Investigator dell’esperimento condotto a SPARC_LAB. 

A SPARC_LAB è in operazione da diversi anni una linea sperimentale con un FEL composto da sei ondulatori planari. Ogni ondulatore è composto da magneti con polarità opposte che fanno percorrere al fascio di elettroni una traiettoria sinusoidale. La luce generata in ogni periodo di oscillazione si somma coerentemente a quella generata nel periodo precedente, aumentandone esponenzialmente l’intensità.

Il risultato appena pubblicato è stato ottenuto iniettando due pacchetti di elettroni (con dimensioni di poche decine di micron) nel plasma contenuto in un tubo di plastica di 3 cm di lunghezza chiamato capillare. Per prima cosa è necessario creare il plasma, ionizzando idrogeno gassoso attraverso una scarica elettrica ad alta tensione. In questo punto vengono iniettati i due pacchetti di elettroni. Il primo pacchetto (driver) ha la funzione di eccitare le onde acceleranti nel plasma, che sono poi sfruttate dal secondo pacchetto (witness) che viene accelerato. L’alta qualità del witness in ingresso al plasma è mantenuta durante il processo di accelerazione e, in aggiunta alla sua alta corrente, è in grado di pilotare il FEL generando impulsi di luce coerente. L’esperimento condotto a SPARC_LAB ha permesso di ottenere impulsi di luce con energie dell’ordine di 30 nJ.

“Questo risultato non solo ha una grande rilevanza scientifica di per sé ma rappresenta anche un passo avanti fondamentale per la realizzazione del nuovo progetto EuPRAXIA, che ambisce proprio a realizzare la prima infrastruttura di ricerca rivolta agli utenti, basata sull’accelerazione a plasma” spiega Massimo Ferrario, responsabile del progetto EuPRAXIA@SPARC_LAB, sostenuto anche attraverso un contributo finanziario del MUR Ministero dell’Università e della Ricerca, e recentemente entrato nella roadmap di ESFRI, il forum strategico europeo per le infrastrutture di ricerca.

L’INFN PREMIA LE MIGLIORI TESI DI DOTTORATO IN FISICA DEL 2021

L’INFN PREMIA LE MIGLIORI TESI DI DOTTORATO IN FISICA DEL 2021

L’INFN ha assegnato i premi 2021 per le migliori tesi di dottorato nelle cinque aree di ricerca dell’Istituto: fisica subnucleare, astroparticellare, nucleare, teorica e tecnologica, e su attività di ricercae sviluppo nell’ambito del calcolo. I premi, del valore di 2.000 euro ciascuno e assegnati dalle cinque Commissioni Scientifiche Nazionali (CSN) e dalla Commissione Calcolo e Reti (CCR) dell’INFN, sono intitolati alla memoria di illustri fisici italiani o colleghi dell’INFN: Marcello Conversi, Bruno Rossi, Claudio Villi, Sergio Fubini, Francesco Resmini e Giulia Vita Finzi.

 

 

A Federica Oliva, dell’Università del Salento, e Tommaso Pajero, della Scuola Normale Superiore di Pisa, va il premio Marcello Conversi per le migliori tesi di dottorato nel campo della fisica subnucleare. Assegnato dalla CSN1, il riconoscimento premia le due tesi dal titolo “The PADME Active Diamond Target and Positron Bremsstrahlung Analysis” e “Search for time-dependent CP violation in D0 → K+ K- and D0  π+ π- decays”.

Con questo premio l’INFN rende omaggio alla figura di Marcello Conversi, protagonista negli anni della Seconda guerra mondiale, insieme a Ettore Pancini e Oreste Piccioni, di un esperimento fondamentale che portò alla scoperta del muone e segnò di fatto la nascita della fisica delle alte energie.

 

 

Il premio Bruno Rossi, dedicato alle migliori tesi di dottorato in fisica astroparticellare, è stato assegnato a Valentina Dompè e Ambra Mariani, del Gran Sasso Science Institute, per le tesi dal titolo “Search for neutrinoless double beta decay of 128-Te with the CUORE experiment” e “The Proof-of-Principle of the SABRE experiment for the search of galactic dark matter through annual modulation”.

L’INFN ricorda con questo premio Bruno Rossi, scienziato che ha dato contributi fondamentali alla fisica delle particelle elementari mediante lo studio dei raggi cosmici, tra i primi a scoprire sorgenti di raggi X al di fuori del Sistema Solare e che ha identificato il decadimento del muone e ne ha misurato la vita media.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La CSN3 ha assegnato il premio Claudio Villi a Eugenia Naselli, dell’Università di Catania, e a Giorgia Pasqualato, dell’Università di Padova, per le tesi “Experimental study of Electron Cyclotron Resonance plasmas by a multi-diagnostics system in stationary vs. turbulent regimes: perspectives to in-plasma β-decay investigations of nuclear and astrophysical interest” e “Lifetime measurements in 105Sn: the puzzle of B(E2) strengths in Sn isotopes”, giudicate come migliori tesi di dottorato nel campo della fisica nucleare.

Con questo premio l’INFN ricorda Claudio Villi, titolare della prima cattedra italiana di fisica nucleare all’Università di Padova. A Villi si deve l’idea di creare i Laboratori Nazionali di Legnaro (LNL) dell’INFN e l’attuale modello organizzativo dell’Istituto, che prende forma durante il suo mandato di presidente (1970-1975).

Ivano Basile, della Scuola Normale Superiore di Pisa, Matteo Maria Maglio, dell’Università del Salento, e Simone Rodini, dell’Università di Pavia, hanno ricevuto il premio Sergio Fubini dalla CSN4. Le loro tesi sono state reputate le migliori nel campo della fisica teorica e sono intitolate “On String Vacua without Supersymmetry: brane dynamics, bubbles and holography”“Conformal Symmetry in Momentum Space and Anomaly Actions in Gravity”“Proton structure, an iridescent study: from parton distributions to the emergence of the proton mass”.

Questo premio è stato istituito dall’INFN per rendere omaggio al fisico teorico torinese Sergio Fubini, scomparso nel 2005, che ha dato significativi contributi alla teoria dei campi e alla teoria delle stringhe.

 

 

Premiate dalla CSN5 le migliori tesi di dottorato in fisica degli acceleratori e delle nuove tecnologie. Il premio Francesco Resmini va a Pietro Carra, dell’Università di Pisa, e a Gemma Costa, della Sapienza Università di Roma, per le tesi “Neural network enhanced instrumentation for scalable timeof-flight PET”“Design study of plasma targets for laser driven wakefield acceleration experiments”.

Il riconoscimento è dedicato a Francesco Resmini, tra i pionieri degli studi sulle macchine acceleratrici e sulla fisica applicata per la diagnostica ambientale e medica.

 
 

 

Il premio Giulia Vita Finzi, attribuito dalla Commissione Calcolo e Reti, per la migliore tesi di laurea magistrale su attività di ricerca e sviluppo nell’ambito del calcolo dell’INFN, è stato assegnato a Matteo Barbetti, dell’Università di Firenze, per la tesi “Techniques for parametric simulation with deep neural networks and implementation for the LHCb experiment at CERN and its future upgrades”.

Il premio è dedicato alla memoria di Giulia Vita Finzi, colonna portante della Commissione Calcolo e Reti e del CNAF, e uno dei primi web master dell’INFN negli anni pionieristici per queste attività e ricerche tecnologiche.

ALICE OSSERVA PER LA PRIMA VOLTA UN PARTICOLARE COMPORTAMENTO DEI QUARK CHARM PREVISTO DALLA QCD

ALICE OSSERVA PER LA PRIMA VOLTA UN PARTICOLARE COMPORTAMENTO DEI QUARK CHARM PREVISTO DALLA QCD

La prima osservazione dell’effetto denominato ‘dead cone’ (letteralmente, cono morto, o buio) predetto dalla cromodinamica quantistica (QCD, la teoria che descrive le interazioni forti all’interno dei nuclei atomici), secondo il quale i quark di massa elevata prodotti agli acceleratori di particelle non possono irradiare energia a piccoli angoli, fornisce una nuova finestra di accesso alla massa del quark charm. A renderlo noto uno studio pubblicato ieri, mercoledì 18 maggio, sulla rivista Nature dalla collaborazione ALICE (A Large Ion Collider Experiment), uno dei quattro grandi rivelatori dI LHC (Large Hadron Collider) del CERN, che vede un decisivo contributo dell’INFN. Per verificare la presenza del comportamento previsto dall’effetto dead cone, il cui nome deriva dalla regione di spazio di forma conica che racchiude le traiettorie di emissione vietate, i ricercatori e le ricercatrici di ALICE hanno analizzato le cascate di particelle prodotte dalle collisioni tra protoni all’interno di LHC, riuscendo a isolarle e a identificare quelle prodotte da quark charm (particelle elementari che hanno una massa elevata).

La cromodinamica quantistica è certamente una teoria di successo, in grado di superare tutte le verifiche sperimentali a cui è stata sottoposta nel corso degli anni grazie a collisori di particelle come LHC. A partire dalla descrizione che essa fornisce dei modi in cui l’interazione forte si manifesta, è infatti possibile conoscere il comportamento dei quark, i quali, secondo il fenomeno del confinamento, non possono essere prodotti singolarmente, ma solo in stati aggregati, chiamati adroni. La teoria consente inoltre di prevedere, dopo la loro creazione, i processi a cui sono soggetti i quark, che, perdendo energia velocemente sotto forma di gluoni, danno vita a una cascata di quark e gluoni denominata cascata partonica (quark e gluoni sono collettivamente chiamati partoni). È proprio questo il contesto all’interno del quale si manifesta l’effetto dead cone osservato dalla collaborazione ALICE, che implica la presenza di una regione intorno alla direzione di volo del quark, la cui ampiezza aumenta con la massa di quest’ultimo, in cui i gluoni non possono essere emessi.  

A causa della difficoltà di determinare la direzione di un partone durante i processi che danno luogo allo sciame di particelle a esso associato, l’effetto dead cone, previsto trent’anni fa, è stato fino a oggi osservato agli acceleratori di particelle solo in maniera indiretta. Un secondo ostacolo all’individuazione dell’area in cui l’emissione dei gluoni non è consentita è stato inoltre rappresentato dal fatto che il cono può essere riempito da altre particelle nel successivo decadimento del quark charm oggetto di studio.  “Per risolvere tali problemi”, dice Luciano Musa del CERN, coordinatore internazionale della collaborazione ALICE, “è stato necessario fare ricorso a un set di dati acquisiti da ALICE nel corso di ben tre anni e a sofisticate tecniche di analisi, che hanno reso possibile osservare direttamente l’effetto.” Spiega Leticia Cunqueiro Mendez, ora a La Sapienza di Roma “Questa tecnica permette di ripercorrere a ritroso nel tempo la generazione delle cascate partoniche a partire dai loro prodotti finali, discriminando gli angoli di emissione di ogni ramo.”

 “Le cascate partoniche contenenti un quark charm, quindi con massa elevata e dead cone manifesto, sono state individuate grazie alla presenza di un decadimento di charm, che avviene a una distanza di frazioni di millimetro dal punto di collisione. Nella misura di questa distanza e nell’identificazione delle particelle del decadimento rivestono un ruolo centrale i rivelatori Inner Tracking System e Time Of Flight costruiti in larga parte in Italia”, spiega Andrea Dainese, ricercatore della sezione di Padova dell’INFN e coordinatore scientifico della collaborazione ALICE. “Le masse dei quark sono quantità fondamentali nella fisica delle particelle, ma non possono essere accessibili e misurate direttamente negli esperimenti perché, con l’eccezione del quark top, i quark sono confinati all’interno di particelle composite. La tecnica che abbiamo sviluppato per osservare direttamente il dead cone di una cascata di partoni apre una nuova possibilità per misurare direttamente le masse di queste particelle”, conclude Dainese.