EHT: L’IMMAGINE POLARIZZATA DI SAGITTARIUS A* SVELA SIMILITUDINI CON M87

EHT: L’IMMAGINE POLARIZZATA DI SAGITTARIUS A* SVELA SIMILITUDINI CON M87

La collaborazione scientifica Event Horizon Telescope (EHT) ha realizzato la prima immagine in luce polarizzata del buco nero supermassiccio Sagittarius A* (Sgr A*). Questa nuova immagine ha svelato la presenza di campi magnetici forti e organizzati che si sviluppano a spirale dal margine del buco nero al cuore della Via Lattea. Inoltre, ha rivelato che la loro struttura è sorprendentemente simile a quella dei campi magnetici del buco nero al centro della galassia M87, suggerendo che questi forti campi magnetici possano essere comuni ai buchi neri. Questa somiglianza suggerisce anche che vi possa essere un getto di materia nascosto in Sgr A*, così com’è in M87. I risultati sono stati pubblicati oggi su The Astrophysical Journal Letters.

“Il fatto che la struttura del campo magnetico di M87* sia così simile a quella di Sgr A* è significativo perché suggerisce che i processi fisici che governano il modo in cui un buco nero alimenta e lancia un getto potrebbero essere universali tra i buchi neri supermassicci, nonostante le differenze di massa, dimensione e ambiente circostante”, spiega Mariafelicia De Laurentis, professoressa all’Università di Napoli Federico II e ricercatrice all’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. “Questo risultato ci consente di affinare i nostri modelli teorici e le nostre simulazioni, migliorando la nostra comprensione di come la materia viene influenzata vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero”.

La luce polarizzata è un’onda elettromagnetica che oscilla con un determinato orientamento. Nel plasma attorno ai buchi neri osservati, le particelle che ruotano attorno alle linee del campo magnetico determinano uno schema di polarizzazione perpendicolare al campo. Ciò consente di vedere con dettagli sempre più vividi che cosa stia accadendo nelle regioni dei buchi neri e di mappare le linee del loro campo magnetico. Dall’immagine della luce polarizzata proveniente dal gas caldo e incandescente vicino ai buchi neri, è possibile dedurre direttamente la struttura e la forza dei campi magnetici che attraversano il flusso di gas e materia che il buco nero inghiotte ed espelle. La luce polarizzata insegna quindi molto sull’astrofisica, sulle proprietà del gas e sui meccanismi che avvengono quando un buco nero si alimenta. Ma ottenere immagini in luce polarizzata dei buchi neri non è facile come osservare il mondo attorno a noi attraverso le lenti polarizzate di un paio di occhiali da sole. E questo è particolarmente vero per Sgr A* che muta assai velocemente, rendendo difficile catturare la sua immagine.

Essere riusciti a ottenere immagini di entrambi i buchi neri supermassicci in luce polarizzata è un grande risultato perché offre nuovi modi per confrontare e contrapporre buchi neri di diverse dimensioni e masse e, con il progredire della tecnologia, è probabile che le immagini rivelino ancora più segreti sui buchi neri e sulle loro somiglianze o differenze.

“In attesa di chiarire dove è stata originata una proprietà del segnale polarizzato (detta misura di rotazione) che abbiamo registrato a 230 GHz, ovvero se nelle nubi di gas che si trovano fra noi e Sgr A* o invece molto più vicino, nel plasma che lo circonda, questi nuovi risultati forniscono limiti stringenti sui modelli di accrescimento di Sgr A*. In futuro, combinando dati polarimetrici a 230 e 345 GHz, saremo in grado di conoscere meglio questi aspetti della natura del buco nero al centro della nostra galassia.” dice Kazi Rygl, ricercatrice dell’INAF Istituto Nazionale di Astrofisica a Bologna.

La collaborazione scientifica EHT ha condotto diverse osservazioni dal 2017 e prevede di osservare nuovamente Sgr A* ad aprile. Ogni anno, le immagini migliorano man mano che EHT si arricchisce di nuovi telescopi, maggiore larghezza di banda e nuove frequenze di osservazione. Il potenziamento della capacità osservativa pianificato per il prossimo decennio consentirà di ottenere filmati ad alta fedeltà di Sgr A*: questo aumento di sensibilità e di dettaglio potrebbe portare a rivelare un getto di materia oggi ancora nascosto, e consentire agli scienziati di osservare caratteristiche di polarizzazione simili in altri buchi neri. Inoltre, estendere EHT nello spazio grazie al contributo di telescopi satellitari potrà fornire immagini dei buchi neri più nitide che mai.

 

 

 

CON n_TOF SI INDAGA IL REBUS DEL CERIO NELL’UNIVERSO

CON n_TOF SI INDAGA IL REBUS DEL CERIO NELL’UNIVERSO

Il cerio è un metallo che fa parte delle cosiddette “terre rare”, che ha numerose applicazioni tecnologiche di uso quotidiano, da alcuni tipi di lampadine alle TV a schermo piatto. Ma come si produce il cerio nell’universo? Una nuova ricerca condotta presso l’esperimento n_TOF al CERN, di cui sono capofila l’INFN, l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’ENEA pubblicata oggi, 21 marzo, sulla rivista Physical Review Letters e selezionata come scelta dell’editore, ha cercato di rispondere a questa domanda, aprendo a nuovi interrogativi sulla nucleosintesi stellare e l’evoluzione chimica delle galassie. I modelli stellari basati sui nuovi risultati sperimentali predicono un’abbondanza di cerio di molto inferiore a quanto misurato nelle osservazioni astrofisiche. Ne consegue la necessità di rivedere i meccanismi che fino ad oggi si credeva fossero responsabili della produzione di questo elemento nelle stelle, con importanti conseguenze anche su tutti gli elementi più pesanti.

Le abbondanze degli elementi più pesanti del ferro osservati nelle stelle (come stagno, argento, oro e piombo) si possono riprodurre dal punto di vista teorico ipotizzando l’esistenza di due processi di cattura neutronica: il processo di cattura neutronica lenta (o processo s, dall’inglese “slow”) e il processo di cattura neutronica veloce (o processo r, dall’inglese “rapid”). I flussi neutronici che li caratterizzano sono di circa 10 milioni di neutroni per centimetro cubico e più di 1 milione di miliardi di miliardi di neutroni per centimetro cubico, rispettivamente. Il processo s produce circa la metà degli elementi più pesanti del ferro presenti nell’universo, tra cui il cerio.

Relativamente raro nella crosta terrestre, nell’universo il cerio è leggermente più abbondante e il cuore di questo studio è stato proprio la misura della sua sezione d’urto, che esprime la probabilità che avvenga la cattura di un neutrone da parte del nucleo dell’isotopo 140 del cerio per produrre l’isotopo 141. Questa reazione, svolgendo un ruolo cruciale nella sintesi di elementi pesanti nelle stelle, è stata misurata a tutte le energie di interesse astrofisico con un’accuratezza senza precedenti.

Le misure sono state condotte al CERN all’esperimento n_TOF dove, sfruttando intensi fasci di neutroni, vengono studiate reazioni nucleari determinanti in vari campi di ricerca, tra cui l’astrofisica nucleare, le tecnologie per la produzione di energia e la fisica medica. Le misure realizzate per questo studio sono state affiancate da sofisticati modelli teorici, utili a comprendere la produzione degli elementi chimici nell’universo nei processi di cattura neutronica nel corso dell’evoluzione di diverse tipologie di stelle.

“La misura che abbiamo effettuato ci ha permesso di identificare risonanze nucleari mai osservate prima nell’intervallo di energie coinvolte nella produzione del cerio nelle stelle”, ha spiegato Simone Amaducci, dei Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN e primo autore dello studio. “Questo grazie all’altissima risoluzione energetica dell’apparato sperimentale e alla disponibilità di un campione purissimo di cerio 140”.

L’esperimento, proposto da Sergio Cristallo dell’Osservatorio Astronomico d’Abruzzo dell’INAF, apre nuovi interrogativi sulla natura e sulla composizione chimica dell’universo. “Quello che ci ha incuriosito all’inizio è stata una discrepanza tra i modelli stellari teorici e i dati osservativi del cerio nelle stelle dell’ammasso globulare M22 nella costellazione del Sagittario”, ha spiegato Cristallo. “I nuovi dati nucleari differiscono significativamente, fino al 40%, da quelli presenti nei database nucleari attualmente utilizzati, decisamente oltre l’incertezza stimata”.

I risultati delle ultime misurazioni a n_TOF hanno notevoli implicazioni astrofisiche, suggerendo una riduzione del 20% del contributo del processo s all’abbondanza di cerio nella Galassia. Inoltre, i nuovi dati hanno un impatto significativo sulla nostra comprensione dell’evoluzione chimica galattica, con conseguenze anche per la produzione di elementi più pesanti. Per questo motivo, è richiesto un cambio di paradigma nell’interpretazione della nucleosintesi del cerio che includa l’esistenza di altri processi fisici, al momento non considerati nei calcoli di evoluzione stellare.

L’ESPERIMENTO ARCHIMEDES VA A CACCIA DI FOTONI OSCURI

L’ESPERIMENTO ARCHIMEDES VA A CACCIA DI FOTONI OSCURI

In attesa di Einstein Telescope, nell’area dell’ex miniera di Sos Enattos, in Sardegna, sono già in corso esperimenti che stanno producendo risultati scientifici interessanti, come l’esperimento di fisica fondamentale Archimedes, coordinato dall’INFN, che ha recentemente pubblicato su “The European Physical Journal Plus” (EPJ Plus) i suoi primi risultati, segnalati anche tra gli Highlight dalla rivista.

Operativo nel laboratorio SAR-GRAV a Sos Enattos, Archimedes punta a misurare l’interazione tra le fluttuazioni del vuoto elettromagnetico e il campo gravitazionale: in particolare, il gruppo di ricerca dell’esperimento ha realizzato una bilancia, prototipo di quella che sarà utilizzata per Archimedes, con una sensibilità nella banda di frequenze comprese tra i 20 e 100 millihertz, compatibile con il rumore termico. Il raggiungimento di questa sensibilità, oltre a dimostrare l’affidabilità del design ottico e meccanico della bilancia prototipo, apre la strada anche alla ricerca dei cosiddetti fotoni oscuri ultraleggeri di tipo B-L, candidati a costituire la materia oscura.

Gli obiettivi scientifici dell’esperimento Archimedes ruotano intorno al concetto di “vuoto”, che nel contesto della meccanica quantistica è in realtà tutt’altro che tale (almeno nel significato associato abitualmente a questo termine): il vuoto quantistico è infatti dotato di una sua energia, diversa da zero, ed è caratterizzato da incessanti fluttuazioni, dovute alla continua creazione e distruzione di particelle e antiparticelle. Tali fluttuazioni possono, almeno in teoria, produrre delle interazioni con gli oggetti macroscopici: Archimedes, in particolare, punta a osservare le eventuali interazioni del vuoto quantistico con il campo gravitazionale, e quindi la sua influenza sul peso dei corpi. Per riuscirci, deve operare in condizioni di assoluto silenzio sismico e antropico, requisiti garantiti dal sito di Sos Enattos (che per gli stessi motivi è considerato ideale anche per ospitare l’Einstein Telescope, futuro osservatorio di onde gravitazionali).

La bilancia prototipo usata finora lavora a temperatura ambiente: ha un braccio in alluminio di 50 centimetri e sostiene un campione di alluminio di 200 grammi, con un contrappeso in piombo. Una prima breve sessione di misure, i cui risultati sono riportati nell’articolo pubblicato su EPJ Plus, è stata già sufficiente a certificarne l’efficienza e la sensibilità, aprendo la strada al completamento della bilancia vera e propria di Archimedes. Quest’ultima sarà criogenica e potrà raggiungere una sensibilità circa 10 volte superiore rispetto al prototipo, sia grazie alla bassa temperatura sia per effetto di un miglioramento del fattore di qualità della sospensione, attualmente in fase di studio.

Ma questi risultati preliminari aprono anche altri scenari interessanti, legati in particolare alla ricerca della materia oscura, la misteriosa forma di materia che costituisce circa l’86% della massa dell’intero universo, la cui natura è ancora ignota. Tra i tanti candidati di materia oscura proposti nel corso degli ultimi decenni c’è anche il fotone oscuro, una sorta di controparte del fotone elettromagnetico che fungerebbe da mediatore tra il mondo della materia ordinaria e il “settore oscuro”, composto appunto dalle ipotetiche particelle di materia oscura. A loro volta, sono stati teorizzati numerosi tipi di fotoni oscuri, dalle caratteristiche fisiche variabili.

“Tra i vari candidati rientra il cosiddetto fotone oscuro B-L: si tratta di un bosone vettoriale massivo ultraleggero sensibile al numero quantico B-L, dove B è il numero barionico e L è il numero leptonico”, spiega Luigi Rosa, fisico teorico all’Università di Napoli Federico II e della Sezione INFN di Napoli. “Gli strumenti di misurazione di piccole forze si sono rivelati tra i migliori per la ricerca dei fotoni oscuri ultraleggeri”.

Ed è qui che entra in gioco Archimedes: la sensibilità raggiunta dall’esperimento è infatti già tale da poter indagare l’esistenza di questo tipo di fotone oscuro, o almeno porre dei vincoli più stringenti ai valori ammessi della sua massa. “L’esperimento Archimedes, nel suo progredire verso la misura dell’interazione delle fluttuazioni di vuoto con la gravità, ha raggiunto un interessante risultato intermedio: realizzare la prima bilancia limitata dal rumore termico, nella banda di frequenze compresa tra 20 e 100 millihertz, aprendo la via alla ricerca del fotone oscuro B-L, nell’intervallo di masse compreso tra 10-16 e 10-15 elettronvolt”, sottolinea il coordinatore dell’esperimento, Enrico Calloni, dell’Università di Napoli Federico II e della Sezione INFN di Napoli. “In una sola notte di presa dati, Archimedes ha raggiunto limiti compatibili con i vincoli scientifici attuali; con una raccolta dati di qualche mese, sarebbe già in grado di raggiungere una regione di rivelazione del tutto inesplorata”.

La collaborazione Archimedes, guidata dall’INFN, include la Sapienza Università di Roma, studio l’Università di Napoli Federico II, l’Università di Sassari, lo European Gravitational Observatory (EGO), l’Istituto Nazionale di Ottica del CNR (CNR-INO) e il Centro di fisica teorica dell’Università di Marsiglia (Francia). Il laboratorio SAR-GRAV è nato nell’ambito di un accordo di programma tra Regione Sardegna, INFN, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Università di Sassari, Università di Cagliari e IGEA spa (la società che gestisce la miniera dismessa di Sos Enattos), ed è finanziato dalla Regione Sardegna.

 

 Archimedes su CGTN Europe

 Archimedes su Le Figaro

STUDIARE L’ENTANGLEMENT AGLI ACCELERATORI DI PARTICELLE

STUDIARE L’ENTANGLEMENT AGLI ACCELERATORI DI PARTICELLE

L’entanglement, ossia la correlazione, l’“intreccio” che a livello quantistico esiste tra le proprietà dei sistemi fisici dopo che questi hanno interagito tra di loro, è stato verificato in fisica atomica misurando la violazione di quella che viene chiamata ‘disuguaglianza di Bell’, dal nome del fisico J. S. Bell. Fu Bell, infatti, a rendersi conto per primo che per sistemi in cui le proprietà sono localmente predeterminate, e che quindi possono essere divisi nelle loro parti senza alcun intreccio, esiste una relazione matematica – una disuguaglianza – tra i valori della misura di queste proprietà che non può mai essere violata. Ma in meccanica quantistica, dove questi valori sono probabilità intrecciate tra loro, la diseguaglianza è, appunto, violata.

Un lavoro recentemente pubblicato su Physical Review D, e selezionato tra i suggerimenti di lettura dell’editore, mostra che è possibile studiare l’intreccio quantistico e la violazione della disuguaglianza di Bell attraverso esperimenti agli acceleratori di particelle. Il gruppo teorico autore del lavoro, di cui fanno parte anche ricercatori dell’INFN, ha utilizzato le analisi dell’esperimento LHCb al Large Hadron Collider del CERN sulla polarizzazione delle particelle coinvolte in alcuni decadimenti per calcolare l’intreccio tra i prodotti finali di questi eventi. I risultati confermano che la disuguaglianza di Bell è violata, in accordo con i principi generali della meccanica quantistica. “Queste ricerche ci aiutano a capire non tanto di quali cose – elettroni, quark o materia oscura – sia fatto il mondo fisico ma di come si comportino, qualsiasi sia la loro natura”, commenta Roberto Floreanini, ricercatore della Sezione INFN di Trieste tra gli autori dello studio appena pubblicato.

L’estensione dello studio dell’intreccio quantistico al campo della fisica delle particelle non rappresenta solo una riformulazione a energie più elevate di quanto studiato in fisica atomica, ma è di interesse più ampio, perché coinvolge anche nuovi aspetti, come la sperimentazione della meccanica quantistica con interazioni deboli e forti, e in presenza di stati più complicati dei fotoni. Questo risultato conferma che gli studi di meccanica quantistica agli acceleratori sono non solo possibili ma rappresentano un nuovo filone di ricerca, agli inizi ma già in rapido sviluppo, anche con l’introduzione di nuovi e sofisticati osservabili per il confronto tra i dati sperimentali e le predizioni del Modello Standard, la teoria che descrive le particelle elementari e le loro interazioni fondamentali.

 

 

 

IL PROGETTO ASIX VINCE UN FINANZIAMENTO MUR-FISA DA 1,5 MILIONI DI EURO

IL PROGETTO ASIX VINCE UN FINANZIAMENTO MUR-FISA DA 1,5 MILIONI DI EURO

Il progetto ASIX si è aggiudicato un finanziamento del valore di 1.531.691,47 euro in 4 anni, per lo sviluppo di un innovativo rivelatore di radiazione, nella prima edizione del bando del MUR relativo al FISA, Fondo Italiano delle Ricerche Applicate. Il fondo FISA, finanziato complessivamente con 50 milioni di euro nell’edizione del 2022 e organizzato in 15 macroaree tematiche, ha come obiettivo la promozione della competitività del sistema produttivo nazionale attraverso la valorizzazione della ricerca industriale e dello sviluppo sperimentale, e si affianca al FIS Fondo Italiano per la Scienza dedicato, invece, alla ricerca fondamentale. ASIX, che ha partecipato per la macroarea Spazio, è uno dei 30 progetti risultati vincitori, tra i 482 che avevano sottomesso domanda di finanziamento. La Host Institution, cioè la struttura presso cui si svolgerà la ricerca, è la Sezione di Pisa dell’INFN.

“ASIX – spiega Luca Baldini, dell’Università e dell’INFN di Pisa, che è il principal investigator del progetto – è un progetto di ricerca prevalentemente industriale, in cui l’idea di fondo è quella di utilizzare tecnologie ben collaudate e disponibili sul mercato per creare un prodotto innovativo, ma allo stesso tempo con un elevato livello di ingegnerizzazione, e un technology readiness level sufficientemente alto. Questo avviene in sinergia con altre attività di R&D che sono condotte in parallelo per esplorare l’integrazione di questo approccio con tecnologie di frontiera”, conclude Baldini.

ASIX (Analog Spectral Imager for X-rays) ha come obiettivo lo sviluppo di una nuova classe di rilevatori di raggi X: sensori ibridi a stato solido che possono essere impiegati simultaneamente per spettroscopia e per imaging ad altissima risoluzione in una larga banda di energia (da 1 a 50 keV). L’obiettivo ambizioso di ASIX è misurare contemporaneamente e con un solo strumento di altissima precisione energia, posizione e tempo di arrivo dei fotoni X. I rivelatori saranno adatti per applicazioni ad alta velocità di acquisizione e trasmissione dei dati per osservazioni spaziali e scienze dei materiali.

La caratteristica fondamentale che distingue ASIX dalle tecnologie standard comunemente utilizzate (come, per esempio, le Charge Coupled Device, che sono al cuore dei moderni osservatori spaziali per raggi X) consiste nel fatto che esso leggerà e processerà un fotone alla volta, in una modalità completamente analogica che è estremamente meno sensibile ad alcune problematiche cui le attuali tecnologie sono soggette, come la sovrapposizione degli eventi ad alto tasso di conteggio e la dispersione della carica su più pixel. Si tratta di un approccio già utilizzato con successo, sia pure in un contesto completamente diverso, nei rivelatori del telescopio IXPE, e che ora ASIX svilupperà utilizzando un sensore al silicio, anziché un gas, come mezzo attivo. L’applicazione principale per cui questo sviluppo è stato pensato è la prossima generazione di telescopi spaziali. Tuttavia, con un’architettura sufficientemente parallelizzata, sarà possibile leggere i dati di ASIX ad una velocità ancora più elevata e utile in campi completamente diversi, come la diagnostica dei materiali e la loro caratterizzazione strutturale.

 

 

GIAPPONE: BELLE II OSSERVA LE PRIME COLLISIONI A SUPERKEKB

GIAPPONE: BELLE II OSSERVA LE PRIME COLLISIONI A SUPERKEKB

L’esperimento Belle II, in funzione al laboratorio KEK di Tsukuba, in Giappone, progettato per studiare le proprietà delle particelle, specialmente dei mesoni B, prodotte dalle collisioni di elettroni e positroni all’interno dall’acceleratore SuperKEKB, ha rivelato e registrato i primi eventi della sua seconda campagna di raccolta dati, il Run 2, che arriva dopo un anno e mezzo di lavori di potenziamento e manutenzione sia del rivelatore, sia dell’acceleratore. SuperKEKB ha ripreso a funzionare lo scorso 29 gennaio, e il 20 febbraio Belle II ha, appunto, registrato la prima collisione elettrone-positrone. L’INFN partecipa a Belle II con un gruppo di circa 70 ricercatori e ricercatrici di 8 strutture: i Laboratori Nazionali di Frascati, e le Sezioni di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Roma Tre, Torino e Trieste.

L’obiettivo di Belle II è misurare con estrema precisione i meccanismi di produzione e decadimento delle particelle prodotte da SuperKEKB, per individuare fenomeni fisici non previsti dalla teoria standard delle particelle elementari, che getterebbero nuova luce sulla nostra comprensione dell’universo e delle forze fondamentali che vi agiscono. La prima campagna di raccolta dati, il Run 1, si è svolta fra il 2019 ed il 2022, fornendo all’esperimento un campione di più di 400 milioni di coppie formate da un mesone B (carico o neutro) e dalla sua antiparticella, dal quale sono già state ottenute numerose misure di grande interesse fisico. A partire dall’estate 2022, nel cosiddetto periodo di ‘long shutdown 1’, sia l’acceleratore SuperKEKB sia il rivelatore Belle II sono stati oggetto di accurati lavori di ottimizzazione e aggiornamento per permettere all’acceleratore di raggiungere luminosità sempre più elevate, e all’esperimento di ricostruire con maggiore precisione ed efficienza gli eventi prodotti.

“L’intervento di maggiore rilevanza che ha riguardato Belle II è stata l’installazione di un nuovo rivelatore di tracce nello strato più interno dell’esperimento, e quindi più vicino al punto di interazione fra elettroni e positroni: si tratta di un rivelatore a pixel di silicio che, insieme al rivelatore a strip di silicio Silicon Vertex Detector (SVD) che lo circonda, permette di misurare con altissima precisione il punto di passaggio delle particelle cariche”, spiega Giuliana Rizzo, ricercatrice all’INFN e professoressa all’Università di Pisa, project leader del Silicon Vertex Detector. “L’intervento ha richiesto il completo smontaggio e rimontaggio del rivelatore SVD, costruito e gestito grazie a un importante contributo italiano, e ha compreso anche l’installazione di un nuovo tubo a vuoto intorno al punto di interazione, e il potenziamento delle schermature del rivelatore dal ‘fondo’ di radiazione prodotto dall’acceleratore in misura maggiore all’aumentare della luminosità. Tutte queste operazioni sono state completate con successo nei tempi stabiliti, permettendo di testare la piena funzionalità del rivelatore con i raggi cosmici e il ripristino delle performance precedenti l’intervento”, conclude Rizzo.

SuperKEKB a sua volta ha subito una serie di interventi migliorativi, al termine dei quali non sono stati riscontrati problemi nella ripresa della funzionalità: entrambi i fasci sono stati iniettati, e sono stati circolati con correnti crescenti per diversi giorni allo scopo di migliorare il vuoto all’interno della cosiddetta beam pipe, ossia il tubo entro cui circolano le particelle. Successivamente si è passati alla fase di accurata regolazione delle orbite che permette di mettere in collisione i due fasci di elettroni e positroni, fino a quando, il 20 febbraio, le condizioni sono state sufficientemente stabili da permettere a Belle II di accendere tutti i propri sotto-rivelatori e osservare in diretta, sul proprio programma di visualizzazione delle particelle rivelate, un tipico evento adronico, ovvero composto da numerose particelle provenienti dal punto di interazione.

L’obiettivo primario di questa nuova campagna di raccolta dati, appena iniziata, è di registrare una quantità di dati superiore a quella a suo tempo raccolta dal precedente esperimento Belle, con i quali Belle II, grazie alle sue superiori performance e a innovativi metodi di analisi, continuerà a effettuare misure di grande interesse scientifico. Successivamente, il gruppo scientifico che lavora a SuperKEKB intende portare la macchina fino alle performance di progetto, che permetteranno a Belle II di raccogliere un campione di dati 50 volte superiore a quello raccolto da Belle, grazie ai quali sarà possibile investigare a fondo la presenza di tanto attesi nuovi fenomeni fisici.

 

Link alla notizia di KEK

 

 

PNRR: L’INFN PUBBLICA DUE BANDI A CASCATA PER IL CENTRO NAZIONALE ICSC E IL PROGETTO SAMOTHRACE

PNRR: L’INFN PUBBLICA DUE BANDI A CASCATA PER IL CENTRO NAZIONALE ICSC E IL PROGETTO SAMOTHRACE

L’INFN pubblica due bandi a cascata per un valore complessivo di quasi tre milioni e mezzo di euro rivolti a soggetti sia privati sia pubblici per contribuire allo sviluppo e alla crescita di ICSC – il Centro Nazionale di Ricerca in HPC, Big Data e Quantum Computing e dell’ecosistema Samothrace – Sicilian Micronanotech Research and Innovation Center, entrambi fondati e finanziati nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Il bando a cascata da 3 milioni e 200 mila euro bandito dall’INFN per lo spoke 2 di ICSC, dedicato alla ricerca spaziale e alla space economy, è rivolto alle micro, piccole e medie imprese, alle grandi imprese, e a organismi di ricerca pubblici, o a consorzi e raggruppamenti che coinvolgano più soggetti. Le tematiche sono molteplici, e comprendono per il lato accademico lo sviluppo algoritmi e strumenti di acquisizione, simulazione e analisi dati; per le imprese, opportunità di ricerca e sviluppo in campi come il calcolo a basso consumo, il porting e la gestione di codice su piattaforme eterogenee, lo sviluppo di strumenti per la space economy e la realizzazione di prototipi e proof-of-concept di codici industriali sulle piattaforme di ICSC.

Il cuore del bando a cascata da 155 mila euro, pubblicato dall’INFN nell’ambito dell’ecosistema Samothrace è, invece, quello di individuare soluzioni avanzate per la produzione di energia e per il monitoraggio dell’inquinamento ambientale, rispettivamente, attraverso la modellizzazione del potere d’arresto degli ioni in un plasma e la raccolta e analisi dei dati per il controllo della qualità dell’acqua. Questo bando è rivolto a soggetti privati, incluse le imprese, che svolgono attività coerenti con il programma di ricerca di Samothrace e che abbiano almeno una sede operativa nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia. I soggetti pubblici possono partecipare soltanto in forma associata.

SPECTRUM: IL FUTURO SOSTENIBILE DEL CALCOLO PER LA RICERCA

SPECTRUM: IL FUTURO SOSTENIBILE DEL CALCOLO PER LA RICERCA

Si è recentemente svolto ad Amsterdam l’evento inaugurale del progetto europeo SPECTRUM, che dovrà elaborare una strategia sostenibile per la raccolta ed elaborazione dei dati prodotti dagli esperimenti di fisica delle alte energie e di radioastronomia. Finanziato nell’ambito del programma Horizon Europe, SPECTRUM riunisce i principali attori del calcolo scientifico e i più grandi centri di calcolo europei. E anche l’Italia fornisce un importante contributo a SPECTRUM con l’INFN e il Cineca, che saranno supportati dall’infrastruttura di calcolo di ICSC, il Centro Nazionale di Ricerca in HPC, Big Data e Quantum Computing.

“Oggi stiamo assistendo a un crescente utilizzo di sistemi nei quali l’uso di dati e il calcolo ad alte prestazioni sono sempre più interconnessi”, commenta Fabio Affinito, Responsabile Supporto Specialistico e R&D CINECA. “Questa dinamica richiede particolare attenzione nella progettazione e nello sviluppo di strategie in grado di adattarsi ai diversi e specifici casi d’uso degli utenti. In questo contesto, SPECTRUM rappresenta un’opportunità straordinaria, e CINECA, anche in qualità di leader dello Spoke 0 di ICSC, sull’Infrastruttura, è entusiasta di contribuire al progetto”, conclude Affinito.

“Abbiamo grandi aspettative per il progetto SPECTRUM, – spiega Tommaso Boccali, ricercatore della Sezione di Pisa dell’INFN, coordinatore dello Spoke 2 di ICSC e responsabile del progetto per l’INFN – ma ciò che è più rilevante è realizzare una discussione aperta e costruttiva fra gli utenti e le grandi infrastrutture di calcolo, che porti a una futura maggiore integrazione, e al disegno di una prossima generazione di infrastrutture più fruibili dalle comunità scientifiche. Attività cui il Centro Nazionale ICSC potrà fornire un importante supporto grazie all’infrastruttura distribuita che intende realizzare federando e potenziando le risorse di HPC e big data a livello nazionale attraverso un datalake aperto, per scopi di ricerca, sia alle comunità scientifiche, sia all’industria.”

Obiettivo di SPECTRUM è affrontare il problema della sostenibilità del calcolo scientifico. La quantità di dati raccolti, condivisi ed elaborati nella ricerca di frontiera è, infatti, destinata ad aumentare rapidamente nel prossimo decennio, portando a esigenze senza precedenti di elaborazione, simulazione e analisi dei dati. In particolare, la fisica delle particelle e la radioastronomia stanno preparando strumenti rivoluzionari, che richiederanno infrastrutture di calcolo con capacità molto maggiori rispetto alle attuali. In questo contesto, il compito di SPECTRUM sarà proprio formulare una Strategia di Ricerca, Innovazione e Implementazione (SRIDA) che delinei soluzioni sostenibili, sia finanziariamente, sia dal punto di vista dell’impatto ambientale.

 

 

PRONTI, PARTENZA, VIA! EUCLID INIZIA LA SUA INDAGINE SULL’UNIVERSO OSCURO

PRONTI, PARTENZA, VIA! EUCLID INIZIA LA SUA INDAGINE SULL’UNIVERSO OSCURO

Oggi, 14 febbraio, la missione spaziale Euclid dell’ESA, lanciata in orbita lo scorso 1° luglio, e alla quale l’Italia partecipa con l’ASI, l’INFN e l’INAF, inizia la sua esplorazione dell’universo oscuro.

Uno dei punti di forza di Euclid, tra i telescopi spaziali più precisi e stabili mai costruiti, risiede nel fatto di essere in grado di osservare un’ampia area di cielo in una sola volta: questo è fondamentale per una missione il cui obiettivo primario è mappare più di un terzo del cielo.

Euclid seguirà la cosiddetta modalità di osservazione “step-and-stare”. Ciò significa che il telescopio fisserà una zona del cielo per circa 70 minuti, producendo immagini e spettri, e poi impiegherà quattro minuti per spostarsi alla zona successiva. Durante tutta la sua missione, prevista durare sei anni, Euclid eseguirà più di 40 mila di questi “puntamenti”, osservando la forma di circa 50 mila galassie alla volta, e arriverà così a studiare complessivamente miliardi di galassie risalendo la storia del cosmo fino a 10 miliardi di anni fa. La maggior parte del tempo di osservazione sarà dedicato a indagini a campo ampio, che saranno completate da indagini di campo profondo, che impegneranno Euclid per il 10% del tempo.

I primi mesi nello spazio di Euclid sono serviti ai gruppi di lavoro di tutta Europa per avviare, testare e preparare la missione per le osservazioni scientifiche che, appunto, oggi prendono avvio. Successivamente al lancio, subito dopo aver acceso gli strumenti di Euclid per la prima volta, la collaborazione scientifica dell’esperimento si è resa conto che c’era un problema, per risolvere il quale è stato necessario rivedere il progetto dell’intera indagine. Il problema risiedeva nel fatto che una piccola quantità di luce solare indesiderata raggiungeva lo strumento visibile di Euclid (VIS) ad angoli specifici, anche con lo schermo solare della navicella (la sua parte posteriore) rivolto verso il Sole. Grazie a successive indagini, i gruppi scientifici, ingegneristici e industriali hanno compreso che per eliminare questa luce era necessario che Euclid osservasse con un orientamento diverso rispetto al Sole, ossia con un angolo di rotazione più ristretto, in modo tale che il parasole non fosse direttamente rivolto verso il Sole: un’inclinazione piccola ma di grande impatto in una direzione. Con questo nuovo assetto ristretto, parti del cielo non potevano essere raggiunte da nessun punto dell’orbita di Euclid attorno a L2. Era necessario, quindi, elaborare una nuova strategia osservativa, che doveva essere poi implementata e testata. Alla fine, la collaborazione ha trovato la soluzione: effettuare più sovrapposizioni tra osservazioni adiacenti. Il rilevamento di Euclid è ora leggermente meno efficiente, ma è possibile raggiungere tutte le aree necessarie del cielo e la perdita complessiva nell’area di rilevamento è ridotta al minimo. Inoltre, il lavoro di ottimizzazione della nuova strategia di indagine proseguirà man mano che la missione avanzerà e arriveranno i risultati scientifici.

Attualmente è previsto che, nel corso delle prossime due settimane, il telescopio osservi un’area di 130 gradi quadrati – più di 500 volte l’area della Luna piena – nella direzione delle costellazioni di Caelum e Pictor nell’emisfero australe. Mentre, nel corso del prossimo anno Euclid coprirà circa il 15% dell’area complessiva di indagine, e i relativi dati saranno rilasciati alla comunità scientifica nell’estate del 2026. Ma già per la primavera del 2025 è previsto un primo rilascio parziale di dati sulle osservazioni di campo profondo.

 

 

 

 

L’ITALIANA ANTONELLA CASTELLINA ALLA GUIDA DELL’ESPERIMENTO AUGER IN ARGENTINA

L’ITALIANA ANTONELLA CASTELLINA ALLA GUIDA DELL’ESPERIMENTO AUGER IN ARGENTINA

Antonella Castellina è stata eletta coordinatrice scientifica (spokesperson) dell’Osservatorio Pierre Auger, una collaborazione internazionale di oltre 400 scienziati di 17 paesi cui l’INFN partecipa, e che studia l’origine delle astroparticelle di altissima energia grazie a un grande rivelatore diffuso nella pampa argentina in prossimità della cittadina di Malargüe (provincia di Mendoza).

Antonella Castellina è ricercatrice dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Torino e svolge la propria attività presso la Sezione INFN di Torino. Prima di dedicarsi all’astrofisica delle particelle, la sua ricerca si è concentrata sulla fisica adronica agli esperimenti R608 e UA8 al CERN, e sullo studio della vita media dei protoni con l’esperimento NUSEX ai Laboratori del Monte Bianco del CNR. Ha poi studiato i neutrini provenienti da collassi stellari presso i laboratori sotterranei del Monte Bianco con l’esperimento LSD, e l’origine e la natura dei raggi cosmici presso l’osservatorio EAS-TOP ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Nell’esperimento Auger si è occupata dello studio della composizione dei raggi cosmici e delle interazioni adroniche. Più recentemente, ha coordinato lo sviluppo dell’upgrade dell’Osservatorio denominato AugerPrime, e ha rivestito la carica di co-spokesperson dell’esperimento.

L’Osservatorio Pierre Auger è basato su un design ibrido, con un rivelatore di superficie formato da 1600 stazioni su un’area di 3000 km2 che rivela il fronte dello sciame di particelle cosmiche quando arriva a terra, e 27 telescopi che dominano l’area e osservano la luce di fluorescenza emessa durante la propagazione dello sciame, permettendo di misurarne lo sviluppo longitudinale. L’Osservatorio è in presa dati sin dal 2008, anno in cui è terminata la sua costruzione, e da allora ha accumulato un’esposizione pari a circa 120.000 km2 x steradiante x anno, permettendo di studiare le proprietà dei raggi cosmici di altissima energia con una precisione senza precedenti. I risultati ottenuti hanno profondamente modificato i precedenti modelli sull’origine e composizione in massa di queste particelle cosmiche, e fornito preziose informazioni sulle interazioni adroniche aenergie di gran lunga superiori a quelle ottenibili agli acceleratori terrestri (https://www.auger.org/science/publications/journal-articles).

Recentemente l’Osservatorio è stato oggetto dell’importante programma di aggiornamento dei rivelatori AugerPrime, nel quale l’INFN ha giocato un ruolo di primaria importanza. L’aggiunta di scintillatori plastici, di antenne in grado di misurare l’emissione radio dagli sciami e di rivelatori di muoni interrati permetterà di migliorare in modo significativo le capacità dell’Osservatorio nel determinare la composizione in massa dei raggi cosmici alle energie più estreme, un’informazione di cruciale importanza per discriminare tra diversi modelli di astrofisica, per l’identificazione delle sorgenti e per studiare le interazioni adroniche.

I dati raccolti dall’Osservatorio hanno un grande valore per la comunità scientifica internazionale, e costituiscono una base necessaria per i progetti futuri previsti per il prossimo decennio. L’Osservatorio costituisce inoltre una facility internazionale per lo sviluppo e i test di nuovi esperimenti. Al fine di massimizzare la realizzazione del loro potenziale scientifico, la Collaborazione Auger è fortemente impegnata nell’adottare una politica di accesso aperto ai dati.

L’Italia partecipa alla collaborazione scientifica Auger con una cinquantina di ricercatori provenienti dalle Università e Sezioni INFN di Catania, Lecce, Milano, Napoli, Roma Tor Vergata, Torino, le Università dell’Aquila, di Palermo e del Salento, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, il GSSI Gran Sasso Science Institute, il Politecnico di Milano, l’Osservatorio Astrofisico di Torino dell’INAF e l’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Palermo dell’INAF.