IL LAMPO GAMMA PIÙ LUMINOSO DI TUTTI I TEMPI

IL LAMPO GAMMA PIÙ LUMINOSO DI TUTTI I TEMPI

Il potente lampo di raggi gamma scoperto il 9 ottobre 2022 è un evento estremamente raro, che si verifica una volta ogni 10mila anni. Le osservazioni, realizzate da telescopi nello spazio e a terra con forte coinvolgimento italiano, saranno determinanti per comprendere le colossali esplosioni da cui hanno origine i lampi gamma. L’annuncio oggi durante una conferenza stampa presso il meeting della High Energy Astrophysics Division della American Astronomical Society, alle Hawaii, in occasione della pubblicazione dei primi risultati, che vedono la partecipazione di numerosi team di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e Agenzia Spaziale Italiana

Il 9 ottobre 2022, numerosi telescopi spaziali in orbita attorno alla Terra e sonde operanti in diverse aree del Sistema solare hanno rivelato un forte impulso di radiazione ad altissima energia, seguita da un’emissione prolungata su tutto lo spettro elettromagnetico. La sorgente era un lampo di raggi gamma (gamma ray burst, GRB), una delle esplosioni più potenti dell’universo, così eccezionale da guadagnarsi subito il soprannome di “BOAT” dall’inglese “Brightest Of All Time”, ovvero “il più luminoso di tutti i tempi”.

Chiamato correntemente GRB 221009A, il lampo è stato rivelato per la prima volta dal Fermi Gamma-Ray Space Telescope della NASA, che vede un fondamentale contributo dell’Italia attraverso l’Agenzia spaziale italiana (ASI), l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), mentre il primo a dare l’annuncio è stato il satellite Neil Gehrels Swift Observatory, sempre della NASA, anch’esso con una forte partecipazione italiana attraverso ASI e INAF. Inizialmente si riteneva che la sua sorgente potesse trovarsi nella nostra galassia, la Via Lattea, ma ulteriori dati raccolti da Swift e Fermi e dal satellite INTEGRAL dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) hanno indicato un’origine molto più lontana. Grazie alle osservazioni realizzate poche ore dopo con lo strumento X-Shooter sul Very Large Telescope dell’ESO, in Cile, si è potuta finalmente identificare la sorgente del GRB: una galassia a circa 2 miliardi di anni-luce da noi. Si tratta di una distanza ragguardevole dalla Via Lattea ma relativamente vicina se si considerano le immense scale cosmiche. È il GRB più intenso di cui sia mai stata misurata la luminosità, e il più luminoso mai visto dalla Terra nei 55 anni da quando i primi satelliti per lo studio dei raggi gamma sono stati messi in orbita. È inoltre uno dei più vicini mai osservati tra i GRB lunghi, quelli la cui emissione iniziale dura più di 2 secondi.

Marco Tavani, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dichiara: “Il lampo gamma cosmico GRB 221009A è un evento a dir poco eccezionale per vari motivi. Prima di tutto, per la sua intrinseca potenza, durata e straordinaria intensità; ma anche per il fatto che si sia verificato, in termini cosmici, relativamente vicino alla Terra. Una combinazione rara, che non ha eguali tra i lampi gamma cosmici osservati negli ultimi decenni. La radiazione X e gamma delle prime fasi di GRB 221009A, e di seguito quella radio, ottica e X nella fase di emissione ritardata, è stata rivelata da diversi telescopi da terra e dallo spazio in cui l’Istituto Nazionale di Astrofisica è fortemente coinvolto se non primo attore. I telescopi utilizzati nello studio di questo GRB sono equipaggiati con strumenti all’avanguardia per poter catturare la radiazione dalla sorgente associata a GRB 221009A, analizzarla e comprendere i dettagli della poderosa esplosione da cui ha avuto origine. Il lavoro delle nostre ricercatrici e dei nostri ricercatori, che hanno guidato diversi studi sin dalle prime fasi di GRB 221009A, è stato fondamentale per caratterizzare questo peculiare lampo gamma cosmico e coglierne a pieno le sue potenzialità per la comprensione dei fenomeni più energetici dell’Universo che portano alla formazione delle stelle di neutroni e dei buchi neri”.

L’analisi dei dati, confrontati con quelli di circa 7mila GRB osservati nei decenni passati con il telescopio spaziale Fermi e lo strumento russo Konus a bordo del satellite NASA Wind, ha permesso di stimare la frequenza con cui si verifica un evento così luminoso e relativamente vicino: una volta ogni 10mila anni. Il lampo era così luminoso che ha letteralmente accecato la maggior parte degli osservatori spaziali a raggi gamma, che non hanno potuto misurare la reale intensità dell’emissione. Dopo aver ricostruito i dati mancanti di Fermi e grazie al confronto con i risultati del team russo che lavora sui dati Konus e con i team cinesi che analizzano le osservazioni del rivelatore GECAM-C a bordo del satellite SATech-01 e degli strumenti a bordo dell’osservatorio Insight-HXMT, si è dimostrato che l’esplosione è stata 70 volte più luminosa di qualsiasi altra mai vista. 

L’evento è stato così brillante che la sua radiazione residua, il cosiddetto afterglow, è ancora visibile e rimarrà tale per molto tempo. I risultati sono stati presentati oggi durante il meeting della High Energy Astrophysics Division della American Astronomical Society a Waikoloa, Hawaii. Gli articoli che presentano i risultati sono stati pubblicati in un numero speciale della rivista The Astrophysical Journal Letters e su Astronomy & Astrophysics.

Hanno osservato il GRB anche lo strumento NICER a bordo della Stazione spaziale internazionale, il telescopio spaziale NuSTAR della NASA, la sonda Voyager 1 che esplora lo spazio interstellare, il satellite italiano AGILE, realizzato dall’ASI con il contributo di INAF e INFN, e diversi satelliti dell’ESA, tutti con importanti contributi italiani: dai telescopi spaziali XMM-Newton e INTEGRAL alle sonde Solar Orbiter e BepiColombo fino al satellite Gaia. INTEGRAL, trovandosi in posizione ottimale, ne ha registrato sia l’emissione immediata sia l’afterglow con un’accuratezza senza precedenti. Gli scienziati ritengono che i GRB lunghi, come questo, derivino dal collasso del nucleo di una stella massiccia e la conseguente nascita di un buco nero, che emette getti di particelle ad altissima energia in direzioni opposte mentre ingurgita la materia circostante. Osservare l’afterglow del GRB, causato proprio da questi getti bipolari, ha permesso di testare i diversi modelli teorici che descrivono i processi fisici in atto nelle fasi iniziali dell’esplosione.

“Si tratta di una scoperta importante – commenta il presidente dell’ASI Giorgio Saccoccia – resa possibile anche grazie al contribuito di tutte le sonde come Fermi, Swift, INTEGRAL, AGILE, NuSTAR, IXPE, XMM, Solar Orbiter, Bepi Colombo, Gaia e CSES. Satelliti in orbita a cui ASI ha dato il suo contributo. Il merito va anche al nostro Space Science Data Center (SSDC) che mette da diverso tempo a fattor comune i dati scientifici provenienti da tutte queste missioni che hanno a bordo strumentazioni fornite da ASI. Questa visione multidisciplinare della scienza spaziale rappresenta il percorso vincente per aumentare le competenze italiane nello studio dell’Universo. Si tratta di una forte capacità dell’ASI che, da sempre, lavora insieme all’intera comunità scientifica, per lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia, che consentono di avere una visione dell’Universo più completa”.

Dopo aver viaggiato attraverso lo spazio intergalattico, la radiazione proveniente dal GRB 221009A si è imbattuta nelle nubi di polvere presenti nel mezzo interstellare che permea la nostra galassia, la Via Lattea. Quando i raggi X incontrano la polvere, una parte di essi viene dispersa, creando anelli concentrici che sembrano espandersi verso l’esterno: una sorta di eco luminosa del lampo mentre attraversa la galassia. Il telescopio spaziale XMM-Newton ha fornito un’immagine profonda e dettagliata di 20 anelli, osservando in diversi giorni dopo la scoperta del GRB, mentre il satellite Swift ne ha monitorato l’evoluzione nel tempo. L’anello più distante è sorto dall’impatto con una nube di polvere situata a 61mila anni luce di distanza, dall’altro lato della Via Lattea, mentre il più vicino, visto solo da Swift, si è formato a circa 700 anni luce da noi. Il modo in cui una nube di polvere diffonde i raggi X dipende dalla sua distanza, dalle dimensioni dei granelli di polvere e dall’energia dei raggi X: l’analisi degli anelli creati dal GRB ha permesso di ricostruire parte della sua emissione iniziale a raggi X ma anche la distribuzione e composizione delle nubi di polvere nella nostra galassia. I dati indicano che i granelli di polvere sono composti principalmente da grafite, una forma cristallina del carbonio.

Gli anelli di polvere sono stati rivelati anche dall’osservatorio spaziale IXPE, una collaborazione tra NASA e ASI con un importante contributo di INAF e INFN, che osserva la polarizzazione dei raggi X. Il piccolo grado di polarizzazione misurato da IXPE nella fase di afterglow conferma che uno dei due getti è stato osservato in direzione quasi frontale. Da questo tipo di GRB, gli scienziati si aspettano di osservare anche una supernova poche settimane dopo, che però non è stata rivelata. Uno dei possibili motivi della mancata osservazione potrebbe essere l’attenuazione da parte di spesse nubi di polvere nel piano della Via Lattea. Tuttavia, non ha sortito successo nemmeno la ricerca nell’infrarosso effettuata con il telescopio spaziale James Webb, che ha osservato l’afterglow in contemporanea con il Telescopio Nazionale Galileo (TNG) dell’INAF. Può darsi che la stella fosse così massiccia che, dopo l’esplosione iniziale, abbia immediatamente formato un buco nero che ha inghiottito tutto il materiale circostante, impedendo la formazione di una nube di gas, il cosiddetto resto di supernova.

“Un evento davvero unico per la sua intensità e vicinanza cosmica – spiega Marco Pallavicini, vicepresidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – che conferma il potere diagnostico delle misure di polarizzazione offerte da IXPE e dallo strumento innovativo che INFN ha sviluppato e messo a disposizione della missione, il quale si innesta in una ormai consolidata tradizione di successi ottenuti nell’ambito della realizzazione di rivelatori spaziali di sempre maggiore efficacia e capacità risolutive. Risultati certificati anche dai contributi forniti a molti degli osservatori spaziali, tra cui Fermi e AGILE, protagonisti della caratterizzazione di questo GRB senza precedenti.”

Anche sulla Terra il GRB 221009A ha fatto sentire i suoi effetti, rilasciando nei pochi minuti della sua durata circa un gigawatt di potenza nella porzione superiore della nostra atmosfera, ionizzando fortemente la parte alta della ionosfera su una larga regione geografica centrata sull’India e che ha interessato anche Europa e Asia. L’aumento del flusso di elettroni correlato con il GRB è stato misurato dal rivelatore di particelle cariche HEPP-L a bordo del China Seismo-Electromagnetic Satellite (CSES-01), che vede la partecipazione di ASI e INFN, il quale stava orbitando sopra l’Europa al momento dell’arrivo del GRB.

ELETTI I VERTICI DELLA COLLABORAZIONE SCIENTIFICA EINSTEIN TELESCOPE

ELETTI I VERTICI DELLA COLLABORAZIONE SCIENTIFICA EINSTEIN TELESCOPE

Saranno Michele Punturo, ricercatore INFN della sezione di Perugia, e Harald Lück, ricercatore dell’Università leibniz di Hannover e della Società Max Plank Planck, a ricoprire rispettivamente gli incarichi di coordinatore e di vicecoordinatore della collaborazione scientifica Einstein Telescope. A darne l’annuncio ieri, giovedì 23 marzo, la stessa collaborazione ET, che riunisce università e istituti di ricerca, tra cui l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN, coinvolti nella progettazione e realizzazione di un interferometro gravitazionale europeo di terza generazione, progetto inserito nella Roadmap 2021 di ESFRI European Strategy Forum on Research Infrastructure, il forum strategico europeo che seleziona le grandi infrastrutture di ricerca su cui investire a livello europeo.

Le due nomine confermano le scelte già effettuate nel giugno dello scorso anno dalla collaborazione scientifica internazionale ET, che, contestualmente alla sua nascita, aveva affidato a Michele Punturo e Harald Lück il coordinamento delle attività scientifiche.

Tra i principali compiti che vedranno impegnati nel breve periodo i due portavoce, quelli legati all’organizzazione dei gruppi di lavoro della collaborazione che saranno impegnati in attività di ricerca e sviluppo in diversi ambiti, dallo studio delle tecnologie necessarie a ET, all’infrastruttura di calcolo, dalla scienza osservativa alla caratterizzazione dei siti candidati a ospitare l’osservatorio.

“Siamo onorati di essere stati eletti alla guida della collaborazione”, commentano Michele Punturo e Harald Lück, “La nostra conferma crediamo testimoni l’importanza del lavoro finora svolto da tutta la comunità di Einstein Telescope e fungerà sicuramente da stimolo per intensificare gli sforzi per la realizzazione di Einstein Telescope, che rappresenta una importante opportunità per tutta l’Europa.”

“Grazie al suo design e alle sue tecnologie innovative, ET consentirà infatti di ampliare il numero dei segnali gravitazionali osservabili e di migliorare, congiuntamente alle osservazioni di altri messaggeri astrofisici, la comprensione dei fenomeni e delle sorgenti responsabili della loro emissione, facendo della nuova infrastruttura un centro di riferimento a livello mondiale per la ricerca scientifica e tecnologica in questo promettente settore della fisica fondamentale”, aggiungono Punturo e Lück.

Michele Punturo è dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, ha iniziato la sua carriera al CERN, occupandosi di misure dedicate alla verifica della violazione della simmetria CP. Nel 1994 entra a far parte della collaborazione Virgo, contribuendo alla costruzione del primo interferometro gravitazionale europeo. Negli anni successivi ha ricoperto ruoli di responsabilità e coordinamento delle attività legate alle campagne di raccolta dati e aggiornamento di Virgo. Contestualmente, a livello europeo, è stato tra i primi promotori delle iniziative volte alla progettazione e realizzazione di un interferometro gravitazionale europeo di terza generazione, confluite in seguito nell’Einstein Telescope, nell’ambito del quale è stato coordinatore delle commissioni e dei gruppi di lavoro responsabili dell’elaborazione del progetto e della sottomissione della proposta per la sua realizzazione presso la Commissione Europea prima e il Forum europeo per le infrastrutture di ricerca di interesse strategico (ESFRI) poi.   

Harald Lück è Ricercatore dell’istituto per la fisica gravitazionale del Max Plank Planck di Hannover (Albert Einstein Institute), nel periodo 1993-1997, ha contribuito alla progettazione, guidando le attività di realizzazione e in seguito di presa dati, dell’interferometro gravitazionale tedesco GEO600, situato nei pressi di Hannover. A partire dal 2004, insieme a Michele Punturo, ha coordinato il lavoro per lo sviluppo dell’iniziale proposta di un osservatorio gravitazionale di terza generazione e per la sottomissione, nel 2007, del progetto ET presso la Commissione Europea. Negli anni successivi è stato co-responsabile delle attività svolte nell’ambito del progetto e, nel 2021, ha partecipato alla creazione della collaborazione ET.

XENONNT: PRESENTATI I PRIMI RISULTATI SULLA RICERCA DI WIMP

XENONNT: PRESENTATI I PRIMI RISULTATI SULLA RICERCA DI WIMP

Sono stati presentati oggi, mercoledì 22 marzo in un seminario presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, i risultati di XENONnT, l’ultimo rivelatore del progetto XENON dedicato alla ricerca diretta di WIMP (Weakly Interacting Massive Particles), particelle che rappresentano possibili candidati per la materia oscura. Con una esposizione di poco superiore a una tonnellata-anno, l’analisi dei dati conferma l’elevata sensibilità raggiunta in questa fase dal rivelatore grazie alla riduzione del rumore di fondo. XENONnT quindi ottiene dei nuovi limiti sulla interazione della materia oscura con i nuclei della materia ordinaria. I risultati sono riportati in un articolo sottomesso alla rivista Physical Review Letters e nel preprint già disponibile sul sito di XENON (https://xenonexperiment.org/).

“Con XENONnT abbiamo migliorato i risultati del suo predecessore XENON1T, grazie ad una massa attiva di xenon tre volte più grande e al suo fondo cinque volte più basso, ottenuto con l’utilizzo di nuove tecniche sperimentali come la colonna di distillazione del Radon e il Neutron Veto” annuncia Elena Aprile della Columbia University di New York, portavoce dell’esperimento. 

XENONnT è stato progettato per rivelare la materia oscura con una sensibilità di 10 volte superiore al suo predecessore. Il rivelatore posto nel cuore dell’esperimento è una camera a proiezione temporale con xenon in doppia fase, stato liquido e gassoso, di circa 1.5 m in diametro e altezza, riempita con 5900 kg di xenon ultra-puro mantenuto liquido ad una temperatura di -95 °C, che funge da bersaglio attivo per l’interazione delle particelle di materia oscura. Il tutto è installato al centro di un serbatoio di acqua, utilizzato come schermo attivo per rivelare i muoni e neutroni che potrebbero simulare falsi segnali. Posizionato in una delle sale sperimentali del Laboratorio sotterraneo del Gran Sasso, XENONnT è stato costruito e messo in funzione fra la primavera del 2020 e quella del 2021. I dati che hanno portato a questi risultati sono stati acquisiti tra luglio e novembre 2021. 

Con questi risultati XENONnT migliora i limiti degli esperimenti precedenti, già con un breve tempo di esposizione. XENONnT sta continuando ad acquisire ulteriori dati, in condizioni sperimentali ancora migliori grazie ad un livello di radon ulteriormente ridotto, in modo da poter migliorare la sensibilità alla possibile interazione di WIMP nei prossimi anni.

EINSTEIN TELESCOPE: IL MINISTRO ANNA MARIA BERNINI IN VISITA AL SITO DI SOS ENATTOS

EINSTEIN TELESCOPE: IL MINISTRO ANNA MARIA BERNINI IN VISITA AL SITO DI SOS ENATTOS

Il 20 marzo, il Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini si è recata in visita nella ex-miniera di Sos Enattos, in Sardegna nel Nuorese, dove è stata accolta da un’ampia e calorosa partecipazione della comunità locale, con rappresentanti delle istituzioni, della società civile e del personale della miniera, sito italiano candidato a ospitare il progetto scientifico Einstein Telescope, la grande infrastruttura di ricerca per il rivelatore di onde gravitazionali di prossima generazione, riconosciuta dalla roadmap di ESFRI, Lo European Strategy Forum for Research Instrastructures, come infrastruttura strategica a livello europeo.

Nello scenario internazionale, il sito sardo compete attualmente con un altro sito individuato nella regione di confine tra Paesi Bassi, Belgio e Germania. La candidatura del sito sardo può contare come punti di forza sulle caratteristiche del territorio, che garantiscono i bassissimi livelli di rumore sismico e antropico di cui Einstein Telescope ha bisogno, sul largo consenso scientifico e istituzionale a livello nazionale e locale, e sulle competenze della comunità scientifica italiana, grazie all’eccellenza degli Istituti di ricerca e delle Università che partecipano al progetto, e grazie alla tradizione nella ricerca sulle onde gravitazionali, di cui l’INFN è protagonista da oltre cinquant’anni.

“Ringraziamo il Ministro Bernini per la sua visita a Sos Enattos e per la determinazione con cui il Ministero sta sostenendo Einstein Telescope, è fondamentale per la comunità scientifica, e anche per la società civile e le istituzioni locali che credono nel progetto in Sardegna”, commenta Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN. “La candidatura italiana è forte: può contare su alte competenze scientifiche e su un sito che è ideale per ET e unico in Europa. D’altro canto, sappiamo che queste grandi sfide internazionali non si giocano solo sul piano scientifico e tecnico, ma anche su quello istituzionale e politico, e si vincono solo facendo squadra, come stiamo facendo. Non sarà facile, la competizione sarà serrata, ma sappiamo che l’Italia che fa squadra sa arrivare al successo”, conclude Zoccoli.

Attualmente l’ex-miniera di Sos Enattos ospita il laboratorio SAR-GRAV, finanziato dalla Regione Sardegna e nato nell’ambito di un Accordo di Programma tra la Regione Sardegna, l’Università di Sassari, l’INFN, l’INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, l’Università di Cagliari, e l’IGEA spa, società che gestisce la miniera.

La candidatura del sito sardo di Sos Enattos è al centro del progetto ETIC (Einstein Telescope Infrastructure Consortium), finanziato con quasi 50 milioni di euro su fondi PNRR, nell’ambito della Missione 4 coordinata dal MUR. ETIC ha, infatti, tra i suoi obiettivi principali la realizzazione di uno studio di fattibilità e di caratterizzazione del sito della ex-miniera dismessa di Sos Enattos proprio per supportare la candidatura italiana a ospitare ET in Sardegna. Per la realizzazione dei suoi obiettivi, il progetto, guidato dall’INFN, può contare sulle competenze multidisciplinari di INAF Istituto Nazionale di Astrofisica e ASI Agenzia Spaziale Italiana e delle università di Cagliari, Bologna, Padova, Perugia, Roma Tor Vergata, Napoli Federico II, Roma Sapienza, Genova, Campania Luigi Vanvitelli, Pisa e Gran Sasso Science Institute.

A WASHINGTON IL BILATERALE ITALIA-USA SULLA FISICA FONDAMENTALE

A WASHINGTON IL BILATERALE ITALIA-USA SULLA FISICA FONDAMENTALE

Si è tenuto il 9 e 10 marzo a Washington il ciclo di incontri bilaterali Italia-Stati Uniti dedicati al confronto su temi, prospettive e progetti di ricerca di fisica fondamentale che vedono oggi impegnati i due paesi in uno sforzo congiunto nell’ambito di importanti collaborazioni scientifiche. Protagonisti dell’appuntamento, che si rinnova ogni anno, la delegazione italiana con il Presidente dell’INFN Antonio Zoccoli, la giunta esecutiva dell’INFN, il direttore dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso Ezio Previtali, lo spokesperson della collaborazione scientifica dell’esperimento DUNE Sergio Bertoucci, il coordinatore delle ricerche in quantum technologies dell’INFN Valter Bonvicini, e l’addetto scientifico dell’ambasciata italiana a Washington Maurizio Biasini, e le delegazioni statunitensi delle principali istituzioni scientifiche e delle istituzioni responsabili del finanziamento e della promozione della ricerca scientifica: il Department of Energy (DOE), la National Science Foundation (NSF), il Fermi National Accelerator Laboratory (Fermilab) e il Brookhaven National Laboratory (NBL). A ospitare la due giorni di incontri, che ha fornito l’occasione per rinsaldare e rinnovare la cooperazione di lungo corso tra fisici italiani e statunitensi e fare il punto sulle iniziative comuni, sono stati, rispettivamente il 9 e 10 marzo, il quartier generale della NSF e l’ambasciata italiana a Washington.

“Gli incontri dei vertici dell’INFN a Washington confermano la posizione dell’Italia quale partner privilegiato degli Stati Uniti nei settori più avanzati della fisica e delle tecnologie emergenti” ha evidenziato l’Ambasciatrice Mariangela Zappia, rilevando tra l’altro che “la nostra riconosciuta leadership rende particolarmente autorevole la candidatura a realizzare in Italia il progetto dell’Einstein Telescope”. “La collaborazione scientifica e tecnologica tra partner fidati quali Italia e Stati Uniti, che condividono valori e visione del futuro, assume un ruolo ancor più rilevante nell’attuale scenario geopolitico”, ha chiosato.

Molti gli argomenti di stringente attualità per la comunità della fisica al centro dei tavoli del bilaterale, a partire da quelli riguardanti presente e futuro degli studi sulle onde gravitazionali. Indiscussi pionieri del settore, Italia e Stati Uniti, grazie ai rapporti che da sempre legano i gruppi di ricerca degli esperimenti Virgo e LIGO, hanno infatti posto le basi per la creazione della più ampia collaborazione internazionale che oggi coinvolge gli osservatori gravitazionali di tutto il mondo, e che punta per i prossimi anni sui rivelatori di nuova generazione terrestri e spaziali, quali l’Einstein Telescope, il Cosmic Expolorer e Lisa. Ampio spazio è stato dedicato ai programmi scientifici rivolti alla ricerca sui neutrini, dal progetto DUNE negli Stati Uniti, di cui l’INFN è partner, ai futuri esperimenti per la misura del decadimento doppio beta senza emissioni di neutrini, che l’INFN si candida a ospitare nei propri Laboratori Nazionali del Gran Sasso.

Un importante confronto ha inoltre riguardato le iniziative e le attività relative alle ricerche nell’ambito della fisica degli acceleratori e delle particelle, di cui l’INFN è partner storico e alle quali continua a fornire contributi fondamentali. Nello specifico, si è parlato dello stato delle attività di cooperazione in corso al CERN e sui benefici reciproci che potrebbero derivare da future collaborazioni nell’ambito del progetto Future Circular Collider (FCC) e per lo sviluppo delle tecnologie del programma Eupraxia. Infine, ma non ultimo, si è affrontato il tema molto attuale delle tecnologie quantistiche, e in particolare del progetto coordinato dal Centro SQMS del Fermilab per la realizzazione del futuro computer quantistico, di cui l’INFN è l’unico partner non statunitense.

“Oltre a descrivere un quadro estremamente ricco e fruttuoso dei rapporti scientifici che legano gli Stati Uniti e l’Italia nella ricerca in fisica fondamentale”, ha commentato Antonio Zoccoli, Presidente dell’INFN, “la vastità delle tematiche e il numero di progetti di cui abbiamo discusso a Washington rappresentano una ulteriore testimonianza delle competenze tecniche e scientifiche di cui il nostro paese dispone e per le quali è ritenuto un partner prezioso. La comunità dell’INFN è orgogliosa di poter contribuire grazie alla sua esperienza a molti dei principali progetti scientifici negli Stati Uniti. E allo stesso modo, per l’INFN è fondamentale poter contare per i propri progetti sulle competenze di altissimo livello dei colleghi statunitensi e sulla loro rilevante collaborazione”.

ARGENTINA: DALLE ASTROPARTICELLE ALLA TERAPIA ONCOLOGICA, FIRMATI ACCORDI DI RICERCA TRA INFN E CNEA

ARGENTINA: DALLE ASTROPARTICELLE ALLA TERAPIA ONCOLOGICA, FIRMATI ACCORDI DI RICERCA TRA INFN E CNEA

Lo studio delle astroparticelle e la ricerca in terapia oncologica sono al centro dei due accordi specifici sottoscritti il 7 marzo a Buenos Aires da Adriana Cristina SERQUIS, presidente del CNEA, la Comisión Nacional de Energía Atómica, e Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN. In particolare, uno dei due accordi riguarda alcuni progetti sperimentali sviluppati in Argentina e di cui l’INFN è partner dedicati alle ricerche sui raggi cosmici e a studi di cosmologia: l’Osservatorio Pierre Auger, distribuito sulla Pampa, che studia gli sciami di raggi cosmici di alta energia, il progetto QUBIC, inaugurato lo scorso anno e operativo in alta quota nella provincia di Salta dedicato allo studio della radiazione cosmica di fondo, e il progetto Andes per la realizzazione di un laboratorio sotterraneo sulle Ande. L’altro dei due accordi specifici riguarda invece le applicazioni per la medicina derivanti da tecnologie e metodi nati in seno alla fisica di base, in particolare l’accordo riguarda attività di ricerca e sviluppo nell’ambito della terapia oncologica, sia per la BNCT (born neutron capture therapy), sia per la radioterapia con fasci di particelle cariche. In particolare, nel caso della BNCT, si studieranno modelli computazionali per la dosimetria e modelli di probabilità per la valutazione degli effetti, inoltre studi radiobiologici, sviluppo e test di nuove sostanze borate e veicolanti, tecniche di misura del boro, sviluppo di rivelatori, produzione e ottimizzazione dei fasci neutronici. Mentre, nel caso della radioterapia con fasci di particelle cariche, riguarderà ricerche di radiobiologia, collaudi dei fasci di protoni per la radiobiologia, ricerca sulla flash-therapy o su alte rate di dose, modelli biofisici e dosimetria computazionale su scala macroscopia e microscopica, sistemi per i piani di trattamento, radioprotezione e calcoli per le schermature, sviluppo di rivelatori per il monitoraggio del fascio e per la dosimetria, irraggiamento di materiali, componenti elettroniche e target. Entrambi questi accordi specifici rientrano nell’ambito di un accordo quadro già in essere tra l’INFN e il CNEA e ora rinnovato, al fine di proseguire nella valorizzazione dello sviluppo dei progetti congiunti e nello scambio di informazioni e di ricercatori.

 

 

 

VERSO UNA NUOVA APPLICAZIONE DEGLI ACCELERATORI AL PLASMA: PARTE IL PROGETTO EuAPS

VERSO UNA NUOVA APPLICAZIONE DEGLI ACCELERATORI AL PLASMA: PARTE IL PROGETTO EuAPS

Si è tenuto il 28 febbraio, presso la presidenza dell’INFN, l’incontro di apertura di EuAPS (EuPRAXIA Advanced Photon Sources), uno dei progetti di interesse nazionale selezionati nell’ambito del PNRR, che vede l’INFN impegnato in veste di capofila attraverso i suoi Laboratori Nazionali di Frascati. EuAPS rappresenterà una delle tappe fondamentali verso il conseguimento degli obiettivi previsti da EuPRAXIA, iniziativa europea per la realizzazione di un’infrastruttura di ricerca dedicata agli acceleratori di particelle basata su una nuova concezione di accelerazione al plasma e tecnologie laser. A promuovere il progetto, a cui sarà destinato un finanziamento pari a 22,3 milioni di euro, oltre all’INFN partecipano il CNR e l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Il progetto EuAPS prevede la realizzazione di una sorgente al plasma di radiazione di betatrone a raggi X, indotta e pilotata da laser, la quale sarà messa in funzione presso il laboratorio SPARC_LAB dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN. Questa tecnologia, in parte già collaudata, e il cui sviluppo è incluso negli obiettivi scientifici di EuPRAXIA, sarà in grado di fornire radiazione di qualità tale da diminuire il tempo di esposizione necessario agli esperimenti che ne faranno ricorso, impiegando una sorgente di dimensioni ridotte, che sfrutterà le oscillazioni dei fasci degli elettroni all’interno del plasma.

“L’obiettivo principale del progetto EuAPS”, spiega Massimo Ferrario, ricercatore dei Laboratori Nazionali di Frascati INFN e responsabile di EuAPS, “consiste nel rendere disponibile nei tempi previsti dal PNRR una nuova sorgente di radiazione X pilotata da un acceleratore al plasma, e contemporaneamente nello sviluppare nuove tecnologie laser per le future applicazioni di EuPRAXIA”.

EuAPS si avvarrà, oltre che del contributo dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, anche di quello degli altri partner del progetto: strumenti avanzati di diagnostica dei fotoni saranno infatti sviluppati presso il CNR-ISM per caratterizzare completamente la radiazione di betatrone a raggi X, mentre l’Università di Roma Tor Vergata fornirà la stazione finale compatta e integrata per l’utente. La sezione di Milano dell’INFN offrirà invece il supporto teorico e numerico necessario al design ottimizzato dell’infrastruttura. EuAPS include inoltre lo sviluppo e la realizzazione dei laser necessari alla eccitazione dell’onda di plasma e della conseguente emissione di radiazione di betatrone. Lavoro che sarà portato avanti dai Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN a Catania e dai laboratori CNR di Pisa, i quali si doteranno di nuove infrastrutture di ricerca per sviluppi scientifici ed industriali basati su laser ultraveloci.

“La realizzazione del progetto EuAPS”, illustra Antonio Falone, ricercatore INFN dei LNF e Project Manager di EuAPS, “contribuirà a consolidare la collaborazione tra gli enti di ricerca coinvolti, a potenziare le infrastrutture di ricerca dedicate e a sviluppare una comunità di utenti interessati a queste nuove sorgenti di radiazione”.

Le risorse messe a disposizione dal PNRR per EuAPS si vanno ad aggiungere a quelle stanziate a livello europeo, tramite il programma Horizon 2020, dei singoli paesi membri del consorzio EuPRAXIA, e ai fondi, circa 120 milioni di euro, per la costruzione di uno dei pilastri del progetto nei Laboratori Nazionali di Frascati, stanziati dal Governo italiano, dalla Regione Lazio e dall’INFN.

“All’interno di EuAPS confluiranno alcune delle attività di ricerca e sviluppo essenziali definite da EuPRAXIA, già individuato dalla roadmap ESFRI (European Strategy Forum Researcher Infrastructures) 2021 come un progetto d’interesse strategico per l’Europa. EuAPS sarà il primo importantissimo mattone verso la realizzazione della facility europea EuPRAXIA”, commenta Ralph Assmann, Coordinatore del progetto Europeo EuPRAXIA.

“Con EuPRAXIA e EuAPS, Frascati si conferma laboratorio d’eccellenza nel panorama mondiale della fisica e della tecnologia degli acceleratori di particelle. Queste infrastrutture non solo forniranno un avanzamento nel nostro modo di concepire gli acceleratori del futuro, sia per la fisica fondamentale che per le applicazioni in campo medicale, industriale e dei beni culturali, ma avranno un impatto economico diretto nel tessuto industriale e sociale della regione Lazio, e più in generale, del Paese”, conclude Pierluigi Campana, membro della Giunta Esecutiva dell’INFN.

BUCHI NERI: QUALE DESTINO DOPO LA LORO EVAPORAZIONE?

BUCHI NERI: QUALE DESTINO DOPO LA LORO EVAPORAZIONE?

Il destino dei buchi neri potrebbe essere quello di evaporare fino a dischiudere le singolarità gravitazionali altrimenti celate dall’inviolabile barriera rappresentata dall’orizzonte degli eventi, oppure assumere una forma stabile e paragonabile ai più suggestivi oggetti previsti dalla Relatività Generale di Einstein, i wormholes. È questa una delle conclusioni a cui è giunto uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), in collaborazione con una collega del Niels Bohr Institute danese, che, attraverso complesse simulazioni numeriche, ha esplorato per la prima volta, nell’ambito di una teoria della relatività generale modificata, i possibili esiti finali dell’evaporazione dei buchi neri, fenomeno previsto dal celebre fisico teorico Stephen Hawking. Il risultato, pubblicato sulla rivista Physical Review Letter, mette in evidenza l’importanza delle simulazioni numeriche (numerical relativity) per fornire nuove spiegazioni sul destino dei buchi neri, suggerendo al tempo stesso la possibilità di nuovi candidati di materia oscura formatisi alla fine della loro evaporazione nei primi istanti dell’universo.

Sebbene il regime di campo gravitazionale forte che li contraddistingue non consenta né alla materia, né alla luce, di liberarsi dalla loro oscura morsa, i buchi neri, a causa di effetti quantistici, evaporano emettendo radiazione termica in maniera continua. Descritta nel 1974 da Stephen Hawking, questa evaporazione comporterebbe il restringimento dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, un processo non ancora osservato, il cui stadio finale rappresenta a sua volta uno dei grandi misteri della fisica teorica. La dissoluzione del buco nero potrebbe infatti non costituire l’unico esito possibile dell’evaporazione, che potrebbe cambiare drasticamente a seconda delle condizioni gravitazionali durante il processo.

“La riduzione di un buco nero”, spiega Fabrizio Corelli, ricercatore del Dipartimento di Fisica della Sapienza associato INFN e primo autore dello studio, “potrebbe comportare l’avvicinarsi dell’orizzonte degli eventi verso la singolarità gravitazionale presente al suo interno, e quindi verso regioni dello spaziotempo di curvatura sempre maggiore. È quindi inevitabile che, durante l’evaporazione di Hawking, effetti gravitazionali legati all’alta curvatura dello spaziotempo diverrebbero via via sempre più rilevanti, al punto da modificare lo stadio finale dell’evaporazione. Proprio per questo è particolarmente interessante studiare questi fenomeni in una teoria di gravità modificata come quella da noi considerata.”

Imponendo le opportune correzioni alla Relatività Generale e facendo ricorso a complesse simulazioni numeriche, i ricercatori sono stati perciò in grado di ottenere per la prima volta alcuni possibili stati finali per il processo di evaporazione dei buchi neri. Tra i risultati discussi nell’articolo apparso su Physical Review Letter, c’è quello che suggerisce la comparsa di singolarità al di fuori dei loro orizzonti degli eventi. Scenario che si pone tuttavia in contrasto con il cosiddetto principio di “censura cosmica” di Roger Penrose, il quale ipotizza come la singolarità debba essere relegata all’interno del buco nero e non possa essere in comunicazione diretta con l’esterno. Una seconda alternativa riguarda invece la trasformazione dei buchi neri in wormholes, strutture capaci di collegare punti diversi dello spaziotempo, previste sulla base di alcune soluzioni esotiche delle equazioni della Relatività Generale, ma finora mai osservate, le cui caratteristiche potrebbero consentire di spiegare l’ancora sfuggente natura della materia oscura. 

“I risultati di questo studio – conclude Paolo Pani del Dipartimento di Fisica della Sapienza e ricercatore INFN – mostrano che l’evaporazione di un buco nero in teorie con correzioni ad alta curvatura alla Relatività Generale potrebbe violare la censura cosmica. Le simulazioni evidenziano infatti come durante il processo di evaporazione le singolarità potrebbero uscire dal buco nero. Se confermato, questo implicherebbe la necessità di una teoria quantistica della gravitazione per spiegare il destino dei buchi neri. È comunque possibile che il destino dell’evaporazione di Hawking sia la formazione di un wormhole, un oggetto senza singolarità e senza orizzonte degli eventi che non evapora ulteriormente, rispettando così la congettura di Penrose. Se confermato, in questo scenario i buchi neri primordiali, formati nei primi istanti dell’universo, evaporerebbero fino a raggiungere una configurazione stabile, diventando così dei perfetti candidati per spiegare la materia oscura”.

Image Credits: NASA, ESA, and D. Coe, J. Anderson, and R. van der Marel (STScI)

IL MINISTRO BERNINI IN VISITA AL CERN

IL MINISTRO BERNINI IN VISITA AL CERN

Il Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini si è recata il 27 febbraio in visita al CERN, il più grande e importante laboratorio di fisica delle particelle al mondo, dove nel 2012 è stato scoperto il bosone di Higgs, solo l’ultimo dei molti storici successi scientifici qui realizzati, e dove c’è tanta Italia, grazie al lavoro delle moltissime e dei moltissimi connazionali, ricercatori, ingegneri, tecnici, che provengono dalle università italiane e dall’INFN, che coordina la partecipazione dell’Italia al grande centro europeo.

“Mi piace ricordare che è possibile lavorare per l’Italia anche fuori dal nostro Paese, – sottolinea il Ministro Anna Maria Bernini – come Governo stiamo lavorando per costruire una rete positiva di scambio che ci aiuti a migliorare il sistema italiano e che rafforzi il nostro contributo alla ricerca internazionale”. “Il PNRR – prosegue Bernini – è lo strumento fondamentale per attrarre ricercatori in Italia ma anche per rafforzare la rete di scambio, per migliorare le nostre università, per far crescere la nostra competitività industriale, contribuendo allo sviluppo e al progresso del Paese”.

Il Ministro Bernini, accompagnata dalla delegazione italiana e dal presidente dell’INFN Antonio Zoccoli, è stata accolta dal direttore generale del CERN Fabiola Gianotti, e dagli altri rappresentanti scientifici e istituzionali, nel laboratorio dove si stanno mettendo a punto i nuovi magneti superconduttori per High Luminosity LHC, il progetto per il potenziamento di LHC che è previsto entrare in funzione nel 2029. La visita del Ministro è proseguita all’esperimento ATLAS, protagonista assieme a CMS della scoperta del bosone di Higgs, e successivamente nel tunnel di LHC, per concludersi al Globe, dove il Ministro ha incontrato la comunità italiana.

“È stato un onore accogliere oggi il Ministro Anna Maria Bernini al CERN, – commenta Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN – e un piacere accompagnarla in visita in questo straordinario centro di ricerca, un posto unico al mondo, un laboratorio che è anche italiano. Qui l’Italia, con l’INFN, le sue ricercatrici e i suoi ricercatori, tra cui moltissimi giovani, è di casa fin dalla sua fondazione nel 1954. Il nostro Paese è sempre stato protagonista della storia del CERN e si è sempre distinto per il contributo di altissimo livello, scientifico e manageriale, che ha saputo portare al laboratorio stesso e a tutti i suoi principali progetti scientifici”. “La visita del Ministro – prosegue Zoccoli – è un gesto molto significativo per il CERN e in particolare per la comunità italiana che qui è impegnata a fare della ricerca scientifica un’eccellenza: riconosce l’importanza del contributo che portiamo al CERN e anche del ruolo chiave della ricerca di base per l’innovazione, il progresso, e la società”. “Ringraziamo dunque il Ministro per l’interesse dimostrato verso il nostro lavoro e i nostri laboratori, dove produciamo nuova conoscenza e innovazione tecnologica, dove i nostri giovani hanno l’opportunità di crescere e formarsi, contribuendo ai più grandi progetti scientifici e collaborando con colleghe e colleghi di tutto il mondo. Continueremo a fare scuola con la nostra esperienza e le nostre competenze, continueremo a studiare, a scoprire, a innovare, con senso di responsabilità verso la società e verso futuro”, conclude Zoccoli.

Il contributo dell’Italia al budget del CERN è pari a oltre il 10%, e gli utenti italiani del CERN sono oltre duemila.

 

 

 

 

 

 

HL-LHC: CONSEGNATI AL CERN I MAGNETI CORRETTORI DI ALTO ORDINE

HL-LHC: CONSEGNATI AL CERN I MAGNETI CORRETTORI DI ALTO ORDINE

HLC-HL: HIGH-ORDER CORRECTOR MAGNETS DELIVERED TO CERN

Sono stati consegnati al CERN i magneti correttori di alto ordine (HOCM) per High-Luminosity LHC, il progetto per il potenziamento del superacceleratore Large Hadron Collider, previsto entrare in funzione nel 2029. Gli HOCM, che sono così i primi apparati della futura macchina a concludere la produzione di serie, saranno cruciali per incrementare le prestazioni di LHC: dovranno, infatti, garantire le correzioni di campo magnetico necessarie per il funzionamento dei magneti responsabili della focalizzazione e della separazione dei fasci di protoni prima e dopo le loro interazioni in corrispondenza degli esperimenti ATLAS e CMS. È stato così raggiunto un primo fondamentale traguardo verso HL-LHC, grazie al centrale contributo dell’INFN che attraverso il Laboratorio di Acceleratori e Superconduttività Applicata (LASA) è stato impegnato nella realizzazione degli HOCM sin dalle sue fasi iniziali di sviluppo e prototipazione. 

Oltre allo sviluppo e alla realizzazione di 5 diverse tipologie di HOCM, il LASA, in collaborazione con il CERN, ha testato il funzionamento dei magneti presso la propria facility, accertando la conformità di tutti i prototipi alle specifiche di performance richieste in termini di qualità del campo magnetico generato e capacità di raffreddamento. Ciò ha consentito di dare il via alle produzioni in serie dei 54 HOCM.

Rispetto ai magneti completati in questa prima fase, l’INFN è stato inoltre responsabile della qualificazione e del controllo di tutti i passaggi richiesti per la produzione, affidata all’azienda italiana SAES RIAL Vacuum (SRV). I successivi test e le qualifiche sui magneti realizzati sono stati effettuati presso il laboratorio LASA e al CERN, dove i magneti sono infine giunti per l’integrazione. L’ultimo magnete è stato inviato al CERN il 17 febbraio 2023, rispettando la programmazione del progetto.

“Il completamento con successo del progetto HOCM è un risultato significativo per High-Luminosity LHC e non sarebbe stato possibile senza la stretta collaborazione tra mondo scientifico e industria”, sottolinea Lucio Rossi, già responsabile di HL-LHC e oggi coordinatore del Comitato INFN-Acceleratori. “Questo progetto – prosegue Rossi – è stato, infatti, frutto di un intenso e coordinato lavoro tra l’INFN, il CERN e i partner industriali, e il successo della consegna nei tempi di tutti i 54 magneti è una testimonianza della dedizione e dell’esperienza di tutte le persone coinvolte”.

“I team di SAES RIAL Vacuum e di SAES Getters”, commenta Paolo Manini, responsabile del contratto HOCM per SAES, “hanno lavorato a stretto contatto con l’INFN e il CERN per costruire e assemblare gli HOCM, assicurandosi che fossero conformi alle specifiche e agli standard di qualità richiesti. Questo progetto ha richiesto un alto livello di precisione e competenza e sono grato al nostro gruppo per il duro lavoro e la dedizione. Sono estremamente orgoglioso del successo della nostra collaborazione con l’INFN e il CERN. Il completamento di questo progetto non solo segna una pietra miliare significativa per il progetto HL-LHC, ma ci ha anche permesso di sviluppare know-how e di espandere la nostra attività nel campo dei magneti superconduttori”.

“Mi ritengo fortunato e sono fiero per avere guidato questo progetto e di aver lavorato al fianco di tanti talenti del settore”, commenta Marco Statera, ricercatore INFN della Sezione di Milano coordinatore del progetto HOCM. “Ora sono impaziente di vedere realizzato il progetto HL-LHC e i molti altri importanti sviluppi che porterà nel campo della fisica degli acceleratori. Il risultato che abbiamo raggiunto testimonia che la collaborazione tra partner scientifici e industriali nel perseguire un obiettivo comune è motore di innovazione e progresso, che molto spesso si spinge ben oltre l’ambito della ricerca scientifica”.

“È particolarmente degno di nota il fatto che la produzione di tutti i 54 magneti sia stata completata entro i tempi previsti, siamo grati a tutti coloro che hanno contribuito a questa impresa”, commenta Oliver Brunig, responsabile del progetto HL-LHC. “E siamo anche molto soddisfatti che il progetto HOCM abbia aperto per la SAES nuove opportunità commerciali nel settore dei magneti superconduttori: questo evidenzia, ancora una volta, il potenziale di trasferimento tecnologico e i benefici economici che derivano dalla ricerca scientifica di base”.