I RIVELATORI GRAVITAZIONALI LIGO E VIRGO RIPRENDONO L’ATTIVITÀ OSSERVATIVA

I RIVELATORI GRAVITAZIONALI LIGO E VIRGO RIPRENDONO L’ATTIVITÀ OSSERVATIVA

Il prossimo 10 aprile la collaborazione LIGO-Virgo-KAGRA avvierà la seconda parte della quarta campagna osservativa (O4b). Anche il rivelatore Virgo, che si trova in Italia, vicino a Pisa, presso l’Osservatorio Gravitazionale Europeo fondato dall’INFN e dal francese CNRS, si unirà alla corsa per identificare nuovi eventi gravitazionali, insieme ai due interferometri statunitensi LIGO, quello di Hanford, nello stato di Washington e quello di Livingston, in Louisiana, che hanno condotto la prima parte del ciclo osservativo (O4a) da maggio 2023 a gennaio 2024. O4b è previsto durare fino all’inizio del 2025.

“L’astronomia delle onde gravitazionali è diventata un metodo chiave per studiare il nostro universo. Con i dati di questo ciclo osservativo contribuiremo ad ampliare in modo significativo i nostri orizzonti, e la conoscenza dei fenomeni più oscuri e violenti dell’universo”, commenta Patrick Brady, coordinatore della Collaborazione Scientifica LIGO.

“I rivelatori di onde gravitazionali sono strumenti all’avanguardia e come tali devono affrontare molte sfide. Siamo soddisfatti di poterci unire alla nuova campagna di presa dati: il contributo di Virgo sarà fondamentale per migliorare la localizzazione degli eventi multimessaggeri che ci aspettiamo di rivelare”, commenta Gianluca Gemme, ricercatore dell’INFN che coordina la Collaborazione Virgo.

I due rivelatori LIGO hanno iniziato la campagna osservativa O4 il 24 maggio 2023 e si sono fermati il 16 gennaio 2024 per manutenzione e aggiornamenti. Nel maggio 2023, Virgo aveva preso la decisione di proseguire le proprie attività di aggiornamento tecnologico fino al 2024 per mitigare l’impatto di diverse sorgenti di ‘rumore’. Mentre il rivelatore giapponese KAGRA si è unito a O4a per un mese prima di riprendere i lavori di aggiornamento.

La durata prevista del ciclo O4 è di 18 mesi, escluse le interruzioni per manutenzione e aggiornamento. Solo nei primi sette mesi e mezzo (O4a), i due rilevatori LIGO hanno identificato 81 candidati di eventi gravitazionali altamente probabili, un numero coerente con il tasso previsto di un evento ogni 2 o 3 giorni. La grande quantità di dati raccolti durante O4a è ancora in fase di analisi, e le osservazioni astrofisiche più significative saranno annunciate nei prossimi mesi. Entro la fine della campagna O4b, prevista per febbraio 2025, mantenendo un tasso di rivelazione simile, il numero totale di segnali di onde gravitazionali osservati potrebbe superare i 200.

“Affrontare sfide – spiega Gemme – è parte integrante delle imprese alla frontiera della scienza e della tecnologia: dopo un lungo periodo di aggiornamento tecnologico durante il quale abbiamo dovuto affrontare anche molte difficoltà, abbiamo raggiunto una sensibilità di 60 Mpc, quindi un livello pari ai più alti raggiunti da Virgo in passato. Il lavoro per migliorare ulteriormente la sensibilità del nostro rivelatore continuerà anche durante il periodo di presa dati che stiamo per iniziare”.

I rivelatori LIGO hanno interrotto le osservazioni lo scorso gennaio per attività di manutenzione programmate, che hanno portato a miglioramenti ai sistemi ottici che servono a “strizzare” la luce laser per superare i limiti di sensibilità imposti dalla meccanica quantistica. Un altro sforzo ha riguardato l’individuazione e l’isolamento delle fonti di rumore nelle numerose camere a vuoto delle sale sperimentali alle estremità dei bracci di quattro chilometri. Questi e altri miglioramenti permetteranno alla Collaborazione Scientifica LIGO di continuare ad aumentare la sensibilità dei suoi interferometri, che in O4a ha raggiunti i 160 Mpc per eventi prodotti da sistemi binari di stelle di neutroni.

Il rilevatore KAGRA in Giappone, che prevedeva di entrare in O4b fin dall’inizio, si unirà invece negli ultimi mesi del 2024, dopo aver risolto i danni causati in diverse strutture dell’esperimento dal terremoto (di magnitudo 7,6 con epicentro a 120 km dal sito KAGRA) che ha colpito la penisola di Noto  lo scorso 1° gennaio. Nonostante si siano registrati solo lievi danni al tunnel, al sistema di vuoto e al sistema criogenico di KAGRA, purtroppo 9 dei 20 sistemi di sospensione degli specchi devono essere riparati e ciò richiederà un ritardo di almeno sei mesi rispetto al precedente programma. Alla conclusione dei lavori e della fase di messa in funzione, è previsto che KAGRA si unica a O4b con una sensibilità di circa 10 Mpc.

Nei prossimi mesi le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione LIGO-Virgo-KAGRA sperano di riuscire a rivelare nuovi eventi multimessaggeri, e in questo caso

la presenza di Virgo può fare la differenza nella localizzazione in cielo delle sorgenti di questi eventi eccezionali. Inoltre, rispetto all’ultimo ciclo di osservazioni, l’aggiornamento degli strumenti, i nuovi ancora più accurati modelli di segnale, e i metodi di analisi dei dati più avanzati aumenteranno le possibilità che dall’analisi dei dati emergano prove di nuovi segnali gravitazionali, come le cosiddette ‘onde gravitazionali continue’, ossia segnali con una frequenza quasi costante e ben definita che vengono generati da stelle di neutroni rotanti (pulsar) con una distribuzione di massa asimmetrica. I dati di O4 potrebbero anche aiutare ad ampliare la nostra conoscenza del fondo gravitazionale primordiale, prodotto dalle onde gravitazionali generate nelle prime fasi della nascita dell’universo. Come nelle precedenti campagne di osservazione, durante O4b gli avvisi delle rivelazioni di possibili candidati di onde gravitazionali saranno distribuiti pubblicamente.

 

 

 

 

 

Dai neutrini solari “bisestili” possibili indizi sul momento magnetico del neutrino

Dai neutrini solari “bisestili” possibili indizi sul momento magnetico del neutrino

Osservata negli anni bisestili un’anomalia nell’emissione dei neutrini solari che potrebbe provare l’esistenza del momento magnetico del neutrino. È quanto emerge da una rianalisi dei dati degli esperimenti Gallex e Borexino, che dal 1991 fino al 2022 hanno studiato i neutrini solari dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, sotto 1400 metri di roccia. In particolare, lo studio guidato dal gruppo di Raul Pescado, professore della Pez Universitas, ha evidenziato la presenza di un’emissione pulsata di neutrini molto intensa, che si verifica ogni 29 febbraio, incompatibile con i processi noti di produzione dei neutrini nel Sole, ma spiegabile ipotizzando l’esistenza del momento magnetico del neutrino.

“Correlando i dati con diversi parametri solari, abbiamo osservato che in coincidenza dell’emissione di questi neutrini, che hanno una energia di 666 keV, nel Sole si verificano perturbazioni del campo magnetico,” spiega Pescado. “Lo stretto legame tra le emissioni anomale di neutrini e queste perturbazioni magnetiche è spiegabile se si ipotizza che il neutrino abbia un momento magnetico bisestile. La nostra rianalisi potrebbe portare, quindi, a una svolta fondamentale nel campo della fisica delle particelle che apre affascinanti scenari di nuova fisica.”

Queste anomalie si registrano una volta ogni quattro anni, curiosamente ogni 29 febbraio, e avvengono in concomitanza di eventi atipici anche in altri ambiti, dalle telecomunicazioni alla biologia.

Già gli antichi romani, a partire dal 46 a. C., avevano iniziato a osservare eventi particolari in questa giornata. Secondo Plinio il Giovane, il 29 febbraio era sempre un giorno sfavorevole per la pesca delle triglie: numerosi pescherecci osservavano banchi di triglie nuotare in modo insolito evitando sapientemente le loro reti. Da qui il detto “Annus bisextus, annus funestus”, che è alla base delle credenze che l’anno bisestile sia un anno sfortunato.

“Se il momento magnetico del neutrino fosse confermato e se questo fornisse anche una spiegazione del comportamento di alcuni pesci e della malasorte degli anni bisestili sarebbe una doppia sorprendente scoperta”, chiosa il vice-presidente dell’INFN Marco Pallavicini.

EHT: L’IMMAGINE POLARIZZATA DI SAGITTARIUS A* SVELA SIMILITUDINI CON M87

EHT: L’IMMAGINE POLARIZZATA DI SAGITTARIUS A* SVELA SIMILITUDINI CON M87

La collaborazione scientifica Event Horizon Telescope (EHT) ha realizzato la prima immagine in luce polarizzata del buco nero supermassiccio Sagittarius A* (Sgr A*). Questa nuova immagine ha svelato la presenza di campi magnetici forti e organizzati che si sviluppano a spirale dal margine del buco nero al cuore della Via Lattea. Inoltre, ha rivelato che la loro struttura è sorprendentemente simile a quella dei campi magnetici del buco nero al centro della galassia M87, suggerendo che questi forti campi magnetici possano essere comuni ai buchi neri. Questa somiglianza suggerisce anche che vi possa essere un getto di materia nascosto in Sgr A*, così com’è in M87. I risultati sono stati pubblicati oggi su The Astrophysical Journal Letters.

“Il fatto che la struttura del campo magnetico di M87* sia così simile a quella di Sgr A* è significativo perché suggerisce che i processi fisici che governano il modo in cui un buco nero alimenta e lancia un getto potrebbero essere universali tra i buchi neri supermassicci, nonostante le differenze di massa, dimensione e ambiente circostante”, spiega Mariafelicia De Laurentis, professoressa all’Università di Napoli Federico II e ricercatrice all’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. “Questo risultato ci consente di affinare i nostri modelli teorici e le nostre simulazioni, migliorando la nostra comprensione di come la materia viene influenzata vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero”.

La luce polarizzata è un’onda elettromagnetica che oscilla con un determinato orientamento. Nel plasma attorno ai buchi neri osservati, le particelle che ruotano attorno alle linee del campo magnetico determinano uno schema di polarizzazione perpendicolare al campo. Ciò consente di vedere con dettagli sempre più vividi che cosa stia accadendo nelle regioni dei buchi neri e di mappare le linee del loro campo magnetico. Dall’immagine della luce polarizzata proveniente dal gas caldo e incandescente vicino ai buchi neri, è possibile dedurre direttamente la struttura e la forza dei campi magnetici che attraversano il flusso di gas e materia che il buco nero inghiotte ed espelle. La luce polarizzata insegna quindi molto sull’astrofisica, sulle proprietà del gas e sui meccanismi che avvengono quando un buco nero si alimenta. Ma ottenere immagini in luce polarizzata dei buchi neri non è facile come osservare il mondo attorno a noi attraverso le lenti polarizzate di un paio di occhiali da sole. E questo è particolarmente vero per Sgr A* che muta assai velocemente, rendendo difficile catturare la sua immagine.

Essere riusciti a ottenere immagini di entrambi i buchi neri supermassicci in luce polarizzata è un grande risultato perché offre nuovi modi per confrontare e contrapporre buchi neri di diverse dimensioni e masse e, con il progredire della tecnologia, è probabile che le immagini rivelino ancora più segreti sui buchi neri e sulle loro somiglianze o differenze.

“In attesa di chiarire dove è stata originata una proprietà del segnale polarizzato (detta misura di rotazione) che abbiamo registrato a 230 GHz, ovvero se nelle nubi di gas che si trovano fra noi e Sgr A* o invece molto più vicino, nel plasma che lo circonda, questi nuovi risultati forniscono limiti stringenti sui modelli di accrescimento di Sgr A*. In futuro, combinando dati polarimetrici a 230 e 345 GHz, saremo in grado di conoscere meglio questi aspetti della natura del buco nero al centro della nostra galassia.” dice Kazi Rygl, ricercatrice dell’INAF Istituto Nazionale di Astrofisica a Bologna.

La collaborazione scientifica EHT ha condotto diverse osservazioni dal 2017 e prevede di osservare nuovamente Sgr A* ad aprile. Ogni anno, le immagini migliorano man mano che EHT si arricchisce di nuovi telescopi, maggiore larghezza di banda e nuove frequenze di osservazione. Il potenziamento della capacità osservativa pianificato per il prossimo decennio consentirà di ottenere filmati ad alta fedeltà di Sgr A*: questo aumento di sensibilità e di dettaglio potrebbe portare a rivelare un getto di materia oggi ancora nascosto, e consentire agli scienziati di osservare caratteristiche di polarizzazione simili in altri buchi neri. Inoltre, estendere EHT nello spazio grazie al contributo di telescopi satellitari potrà fornire immagini dei buchi neri più nitide che mai.

 

 

 

CON n_TOF SI INDAGA IL REBUS DEL CERIO NELL’UNIVERSO

CON n_TOF SI INDAGA IL REBUS DEL CERIO NELL’UNIVERSO

Il cerio è un metallo che fa parte delle cosiddette “terre rare”, che ha numerose applicazioni tecnologiche di uso quotidiano, da alcuni tipi di lampadine alle TV a schermo piatto. Ma come si produce il cerio nell’universo? Una nuova ricerca condotta presso l’esperimento n_TOF al CERN, di cui sono capofila l’INFN, l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’ENEA pubblicata oggi, 21 marzo, sulla rivista Physical Review Letters e selezionata come scelta dell’editore, ha cercato di rispondere a questa domanda, aprendo a nuovi interrogativi sulla nucleosintesi stellare e l’evoluzione chimica delle galassie. I modelli stellari basati sui nuovi risultati sperimentali predicono un’abbondanza di cerio di molto inferiore a quanto misurato nelle osservazioni astrofisiche. Ne consegue la necessità di rivedere i meccanismi che fino ad oggi si credeva fossero responsabili della produzione di questo elemento nelle stelle, con importanti conseguenze anche su tutti gli elementi più pesanti.

Le abbondanze degli elementi più pesanti del ferro osservati nelle stelle (come stagno, argento, oro e piombo) si possono riprodurre dal punto di vista teorico ipotizzando l’esistenza di due processi di cattura neutronica: il processo di cattura neutronica lenta (o processo s, dall’inglese “slow”) e il processo di cattura neutronica veloce (o processo r, dall’inglese “rapid”). I flussi neutronici che li caratterizzano sono di circa 10 milioni di neutroni per centimetro cubico e più di 1 milione di miliardi di miliardi di neutroni per centimetro cubico, rispettivamente. Il processo s produce circa la metà degli elementi più pesanti del ferro presenti nell’universo, tra cui il cerio.

Relativamente raro nella crosta terrestre, nell’universo il cerio è leggermente più abbondante e il cuore di questo studio è stato proprio la misura della sua sezione d’urto, che esprime la probabilità che avvenga la cattura di un neutrone da parte del nucleo dell’isotopo 140 del cerio per produrre l’isotopo 141. Questa reazione, svolgendo un ruolo cruciale nella sintesi di elementi pesanti nelle stelle, è stata misurata a tutte le energie di interesse astrofisico con un’accuratezza senza precedenti.

Le misure sono state condotte al CERN all’esperimento n_TOF dove, sfruttando intensi fasci di neutroni, vengono studiate reazioni nucleari determinanti in vari campi di ricerca, tra cui l’astrofisica nucleare, le tecnologie per la produzione di energia e la fisica medica. Le misure realizzate per questo studio sono state affiancate da sofisticati modelli teorici, utili a comprendere la produzione degli elementi chimici nell’universo nei processi di cattura neutronica nel corso dell’evoluzione di diverse tipologie di stelle.

“La misura che abbiamo effettuato ci ha permesso di identificare risonanze nucleari mai osservate prima nell’intervallo di energie coinvolte nella produzione del cerio nelle stelle”, ha spiegato Simone Amaducci, dei Laboratori Nazionali del Sud dell’INFN e primo autore dello studio. “Questo grazie all’altissima risoluzione energetica dell’apparato sperimentale e alla disponibilità di un campione purissimo di cerio 140”.

L’esperimento, proposto da Sergio Cristallo dell’Osservatorio Astronomico d’Abruzzo dell’INAF, apre nuovi interrogativi sulla natura e sulla composizione chimica dell’universo. “Quello che ci ha incuriosito all’inizio è stata una discrepanza tra i modelli stellari teorici e i dati osservativi del cerio nelle stelle dell’ammasso globulare M22 nella costellazione del Sagittario”, ha spiegato Cristallo. “I nuovi dati nucleari differiscono significativamente, fino al 40%, da quelli presenti nei database nucleari attualmente utilizzati, decisamente oltre l’incertezza stimata”.

I risultati delle ultime misurazioni a n_TOF hanno notevoli implicazioni astrofisiche, suggerendo una riduzione del 20% del contributo del processo s all’abbondanza di cerio nella Galassia. Inoltre, i nuovi dati hanno un impatto significativo sulla nostra comprensione dell’evoluzione chimica galattica, con conseguenze anche per la produzione di elementi più pesanti. Per questo motivo, è richiesto un cambio di paradigma nell’interpretazione della nucleosintesi del cerio che includa l’esistenza di altri processi fisici, al momento non considerati nei calcoli di evoluzione stellare.

L’ESPERIMENTO ARCHIMEDES VA A CACCIA DI FOTONI OSCURI

L’ESPERIMENTO ARCHIMEDES VA A CACCIA DI FOTONI OSCURI

In attesa di Einstein Telescope, nell’area dell’ex miniera di Sos Enattos, in Sardegna, sono già in corso esperimenti che stanno producendo risultati scientifici interessanti, come l’esperimento di fisica fondamentale Archimedes, coordinato dall’INFN, che ha recentemente pubblicato su “The European Physical Journal Plus” (EPJ Plus) i suoi primi risultati, segnalati anche tra gli Highlight dalla rivista.

Operativo nel laboratorio SAR-GRAV a Sos Enattos, Archimedes punta a misurare l’interazione tra le fluttuazioni del vuoto elettromagnetico e il campo gravitazionale: in particolare, il gruppo di ricerca dell’esperimento ha realizzato una bilancia, prototipo di quella che sarà utilizzata per Archimedes, con una sensibilità nella banda di frequenze comprese tra i 20 e 100 millihertz, compatibile con il rumore termico. Il raggiungimento di questa sensibilità, oltre a dimostrare l’affidabilità del design ottico e meccanico della bilancia prototipo, apre la strada anche alla ricerca dei cosiddetti fotoni oscuri ultraleggeri di tipo B-L, candidati a costituire la materia oscura.

Gli obiettivi scientifici dell’esperimento Archimedes ruotano intorno al concetto di “vuoto”, che nel contesto della meccanica quantistica è in realtà tutt’altro che tale (almeno nel significato associato abitualmente a questo termine): il vuoto quantistico è infatti dotato di una sua energia, diversa da zero, ed è caratterizzato da incessanti fluttuazioni, dovute alla continua creazione e distruzione di particelle e antiparticelle. Tali fluttuazioni possono, almeno in teoria, produrre delle interazioni con gli oggetti macroscopici: Archimedes, in particolare, punta a osservare le eventuali interazioni del vuoto quantistico con il campo gravitazionale, e quindi la sua influenza sul peso dei corpi. Per riuscirci, deve operare in condizioni di assoluto silenzio sismico e antropico, requisiti garantiti dal sito di Sos Enattos (che per gli stessi motivi è considerato ideale anche per ospitare l’Einstein Telescope, futuro osservatorio di onde gravitazionali).

La bilancia prototipo usata finora lavora a temperatura ambiente: ha un braccio in alluminio di 50 centimetri e sostiene un campione di alluminio di 200 grammi, con un contrappeso in piombo. Una prima breve sessione di misure, i cui risultati sono riportati nell’articolo pubblicato su EPJ Plus, è stata già sufficiente a certificarne l’efficienza e la sensibilità, aprendo la strada al completamento della bilancia vera e propria di Archimedes. Quest’ultima sarà criogenica e potrà raggiungere una sensibilità circa 10 volte superiore rispetto al prototipo, sia grazie alla bassa temperatura sia per effetto di un miglioramento del fattore di qualità della sospensione, attualmente in fase di studio.

Ma questi risultati preliminari aprono anche altri scenari interessanti, legati in particolare alla ricerca della materia oscura, la misteriosa forma di materia che costituisce circa l’86% della massa dell’intero universo, la cui natura è ancora ignota. Tra i tanti candidati di materia oscura proposti nel corso degli ultimi decenni c’è anche il fotone oscuro, una sorta di controparte del fotone elettromagnetico che fungerebbe da mediatore tra il mondo della materia ordinaria e il “settore oscuro”, composto appunto dalle ipotetiche particelle di materia oscura. A loro volta, sono stati teorizzati numerosi tipi di fotoni oscuri, dalle caratteristiche fisiche variabili.

“Tra i vari candidati rientra il cosiddetto fotone oscuro B-L: si tratta di un bosone vettoriale massivo ultraleggero sensibile al numero quantico B-L, dove B è il numero barionico e L è il numero leptonico”, spiega Luigi Rosa, fisico teorico all’Università di Napoli Federico II e della Sezione INFN di Napoli. “Gli strumenti di misurazione di piccole forze si sono rivelati tra i migliori per la ricerca dei fotoni oscuri ultraleggeri”.

Ed è qui che entra in gioco Archimedes: la sensibilità raggiunta dall’esperimento è infatti già tale da poter indagare l’esistenza di questo tipo di fotone oscuro, o almeno porre dei vincoli più stringenti ai valori ammessi della sua massa. “L’esperimento Archimedes, nel suo progredire verso la misura dell’interazione delle fluttuazioni di vuoto con la gravità, ha raggiunto un interessante risultato intermedio: realizzare la prima bilancia limitata dal rumore termico, nella banda di frequenze compresa tra 20 e 100 millihertz, aprendo la via alla ricerca del fotone oscuro B-L, nell’intervallo di masse compreso tra 10-16 e 10-15 elettronvolt”, sottolinea il coordinatore dell’esperimento, Enrico Calloni, dell’Università di Napoli Federico II e della Sezione INFN di Napoli. “In una sola notte di presa dati, Archimedes ha raggiunto limiti compatibili con i vincoli scientifici attuali; con una raccolta dati di qualche mese, sarebbe già in grado di raggiungere una regione di rivelazione del tutto inesplorata”.

La collaborazione Archimedes, guidata dall’INFN, include la Sapienza Università di Roma, studio l’Università di Napoli Federico II, l’Università di Sassari, lo European Gravitational Observatory (EGO), l’Istituto Nazionale di Ottica del CNR (CNR-INO) e il Centro di fisica teorica dell’Università di Marsiglia (Francia). Il laboratorio SAR-GRAV è nato nell’ambito di un accordo di programma tra Regione Sardegna, INFN, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), Università di Sassari, Università di Cagliari e IGEA spa (la società che gestisce la miniera dismessa di Sos Enattos), ed è finanziato dalla Regione Sardegna.

 

 Archimedes su CGTN Europe

 Archimedes su Le Figaro

STUDIARE L’ENTANGLEMENT AGLI ACCELERATORI DI PARTICELLE

STUDIARE L’ENTANGLEMENT AGLI ACCELERATORI DI PARTICELLE

L’entanglement, ossia la correlazione, l’“intreccio” che a livello quantistico esiste tra le proprietà dei sistemi fisici dopo che questi hanno interagito tra di loro, è stato verificato in fisica atomica misurando la violazione di quella che viene chiamata ‘disuguaglianza di Bell’, dal nome del fisico J. S. Bell. Fu Bell, infatti, a rendersi conto per primo che per sistemi in cui le proprietà sono localmente predeterminate, e che quindi possono essere divisi nelle loro parti senza alcun intreccio, esiste una relazione matematica – una disuguaglianza – tra i valori della misura di queste proprietà che non può mai essere violata. Ma in meccanica quantistica, dove questi valori sono probabilità intrecciate tra loro, la diseguaglianza è, appunto, violata.

Un lavoro recentemente pubblicato su Physical Review D, e selezionato tra i suggerimenti di lettura dell’editore, mostra che è possibile studiare l’intreccio quantistico e la violazione della disuguaglianza di Bell attraverso esperimenti agli acceleratori di particelle. Il gruppo teorico autore del lavoro, di cui fanno parte anche ricercatori dell’INFN, ha utilizzato le analisi dell’esperimento LHCb al Large Hadron Collider del CERN sulla polarizzazione delle particelle coinvolte in alcuni decadimenti per calcolare l’intreccio tra i prodotti finali di questi eventi. I risultati confermano che la disuguaglianza di Bell è violata, in accordo con i principi generali della meccanica quantistica. “Queste ricerche ci aiutano a capire non tanto di quali cose – elettroni, quark o materia oscura – sia fatto il mondo fisico ma di come si comportino, qualsiasi sia la loro natura”, commenta Roberto Floreanini, ricercatore della Sezione INFN di Trieste tra gli autori dello studio appena pubblicato.

L’estensione dello studio dell’intreccio quantistico al campo della fisica delle particelle non rappresenta solo una riformulazione a energie più elevate di quanto studiato in fisica atomica, ma è di interesse più ampio, perché coinvolge anche nuovi aspetti, come la sperimentazione della meccanica quantistica con interazioni deboli e forti, e in presenza di stati più complicati dei fotoni. Questo risultato conferma che gli studi di meccanica quantistica agli acceleratori sono non solo possibili ma rappresentano un nuovo filone di ricerca, agli inizi ma già in rapido sviluppo, anche con l’introduzione di nuovi e sofisticati osservabili per il confronto tra i dati sperimentali e le predizioni del Modello Standard, la teoria che descrive le particelle elementari e le loro interazioni fondamentali.

 

 

 

IL PROGETTO ASIX VINCE UN FINANZIAMENTO MUR-FISA DA 1,5 MILIONI DI EURO

IL PROGETTO ASIX VINCE UN FINANZIAMENTO MUR-FISA DA 1,5 MILIONI DI EURO

Il progetto ASIX si è aggiudicato un finanziamento del valore di 1.531.691,47 euro in 4 anni, per lo sviluppo di un innovativo rivelatore di radiazione, nella prima edizione del bando del MUR relativo al FISA, Fondo Italiano delle Ricerche Applicate. Il fondo FISA, finanziato complessivamente con 50 milioni di euro nell’edizione del 2022 e organizzato in 15 macroaree tematiche, ha come obiettivo la promozione della competitività del sistema produttivo nazionale attraverso la valorizzazione della ricerca industriale e dello sviluppo sperimentale, e si affianca al FIS Fondo Italiano per la Scienza dedicato, invece, alla ricerca fondamentale. ASIX, che ha partecipato per la macroarea Spazio, è uno dei 30 progetti risultati vincitori, tra i 482 che avevano sottomesso domanda di finanziamento. La Host Institution, cioè la struttura presso cui si svolgerà la ricerca, è la Sezione di Pisa dell’INFN.

“ASIX – spiega Luca Baldini, dell’Università e dell’INFN di Pisa, che è il principal investigator del progetto – è un progetto di ricerca prevalentemente industriale, in cui l’idea di fondo è quella di utilizzare tecnologie ben collaudate e disponibili sul mercato per creare un prodotto innovativo, ma allo stesso tempo con un elevato livello di ingegnerizzazione, e un technology readiness level sufficientemente alto. Questo avviene in sinergia con altre attività di R&D che sono condotte in parallelo per esplorare l’integrazione di questo approccio con tecnologie di frontiera”, conclude Baldini.

ASIX (Analog Spectral Imager for X-rays) ha come obiettivo lo sviluppo di una nuova classe di rilevatori di raggi X: sensori ibridi a stato solido che possono essere impiegati simultaneamente per spettroscopia e per imaging ad altissima risoluzione in una larga banda di energia (da 1 a 50 keV). L’obiettivo ambizioso di ASIX è misurare contemporaneamente e con un solo strumento di altissima precisione energia, posizione e tempo di arrivo dei fotoni X. I rivelatori saranno adatti per applicazioni ad alta velocità di acquisizione e trasmissione dei dati per osservazioni spaziali e scienze dei materiali.

La caratteristica fondamentale che distingue ASIX dalle tecnologie standard comunemente utilizzate (come, per esempio, le Charge Coupled Device, che sono al cuore dei moderni osservatori spaziali per raggi X) consiste nel fatto che esso leggerà e processerà un fotone alla volta, in una modalità completamente analogica che è estremamente meno sensibile ad alcune problematiche cui le attuali tecnologie sono soggette, come la sovrapposizione degli eventi ad alto tasso di conteggio e la dispersione della carica su più pixel. Si tratta di un approccio già utilizzato con successo, sia pure in un contesto completamente diverso, nei rivelatori del telescopio IXPE, e che ora ASIX svilupperà utilizzando un sensore al silicio, anziché un gas, come mezzo attivo. L’applicazione principale per cui questo sviluppo è stato pensato è la prossima generazione di telescopi spaziali. Tuttavia, con un’architettura sufficientemente parallelizzata, sarà possibile leggere i dati di ASIX ad una velocità ancora più elevata e utile in campi completamente diversi, come la diagnostica dei materiali e la loro caratterizzazione strutturale.

 

 

GIAPPONE: BELLE II OSSERVA LE PRIME COLLISIONI A SUPERKEKB

GIAPPONE: BELLE II OSSERVA LE PRIME COLLISIONI A SUPERKEKB

L’esperimento Belle II, in funzione al laboratorio KEK di Tsukuba, in Giappone, progettato per studiare le proprietà delle particelle, specialmente dei mesoni B, prodotte dalle collisioni di elettroni e positroni all’interno dall’acceleratore SuperKEKB, ha rivelato e registrato i primi eventi della sua seconda campagna di raccolta dati, il Run 2, che arriva dopo un anno e mezzo di lavori di potenziamento e manutenzione sia del rivelatore, sia dell’acceleratore. SuperKEKB ha ripreso a funzionare lo scorso 29 gennaio, e il 20 febbraio Belle II ha, appunto, registrato la prima collisione elettrone-positrone. L’INFN partecipa a Belle II con un gruppo di circa 70 ricercatori e ricercatrici di 8 strutture: i Laboratori Nazionali di Frascati, e le Sezioni di Napoli, Padova, Perugia, Pisa, Roma Tre, Torino e Trieste.

L’obiettivo di Belle II è misurare con estrema precisione i meccanismi di produzione e decadimento delle particelle prodotte da SuperKEKB, per individuare fenomeni fisici non previsti dalla teoria standard delle particelle elementari, che getterebbero nuova luce sulla nostra comprensione dell’universo e delle forze fondamentali che vi agiscono. La prima campagna di raccolta dati, il Run 1, si è svolta fra il 2019 ed il 2022, fornendo all’esperimento un campione di più di 400 milioni di coppie formate da un mesone B (carico o neutro) e dalla sua antiparticella, dal quale sono già state ottenute numerose misure di grande interesse fisico. A partire dall’estate 2022, nel cosiddetto periodo di ‘long shutdown 1’, sia l’acceleratore SuperKEKB sia il rivelatore Belle II sono stati oggetto di accurati lavori di ottimizzazione e aggiornamento per permettere all’acceleratore di raggiungere luminosità sempre più elevate, e all’esperimento di ricostruire con maggiore precisione ed efficienza gli eventi prodotti.

“L’intervento di maggiore rilevanza che ha riguardato Belle II è stata l’installazione di un nuovo rivelatore di tracce nello strato più interno dell’esperimento, e quindi più vicino al punto di interazione fra elettroni e positroni: si tratta di un rivelatore a pixel di silicio che, insieme al rivelatore a strip di silicio Silicon Vertex Detector (SVD) che lo circonda, permette di misurare con altissima precisione il punto di passaggio delle particelle cariche”, spiega Giuliana Rizzo, ricercatrice all’INFN e professoressa all’Università di Pisa, project leader del Silicon Vertex Detector. “L’intervento ha richiesto il completo smontaggio e rimontaggio del rivelatore SVD, costruito e gestito grazie a un importante contributo italiano, e ha compreso anche l’installazione di un nuovo tubo a vuoto intorno al punto di interazione, e il potenziamento delle schermature del rivelatore dal ‘fondo’ di radiazione prodotto dall’acceleratore in misura maggiore all’aumentare della luminosità. Tutte queste operazioni sono state completate con successo nei tempi stabiliti, permettendo di testare la piena funzionalità del rivelatore con i raggi cosmici e il ripristino delle performance precedenti l’intervento”, conclude Rizzo.

SuperKEKB a sua volta ha subito una serie di interventi migliorativi, al termine dei quali non sono stati riscontrati problemi nella ripresa della funzionalità: entrambi i fasci sono stati iniettati, e sono stati circolati con correnti crescenti per diversi giorni allo scopo di migliorare il vuoto all’interno della cosiddetta beam pipe, ossia il tubo entro cui circolano le particelle. Successivamente si è passati alla fase di accurata regolazione delle orbite che permette di mettere in collisione i due fasci di elettroni e positroni, fino a quando, il 20 febbraio, le condizioni sono state sufficientemente stabili da permettere a Belle II di accendere tutti i propri sotto-rivelatori e osservare in diretta, sul proprio programma di visualizzazione delle particelle rivelate, un tipico evento adronico, ovvero composto da numerose particelle provenienti dal punto di interazione.

L’obiettivo primario di questa nuova campagna di raccolta dati, appena iniziata, è di registrare una quantità di dati superiore a quella a suo tempo raccolta dal precedente esperimento Belle, con i quali Belle II, grazie alle sue superiori performance e a innovativi metodi di analisi, continuerà a effettuare misure di grande interesse scientifico. Successivamente, il gruppo scientifico che lavora a SuperKEKB intende portare la macchina fino alle performance di progetto, che permetteranno a Belle II di raccogliere un campione di dati 50 volte superiore a quello raccolto da Belle, grazie ai quali sarà possibile investigare a fondo la presenza di tanto attesi nuovi fenomeni fisici.

 

Link alla notizia di KEK

 

 

PNRR: L’INFN PUBBLICA DUE BANDI A CASCATA PER IL CENTRO NAZIONALE ICSC E IL PROGETTO SAMOTHRACE

PNRR: L’INFN PUBBLICA DUE BANDI A CASCATA PER IL CENTRO NAZIONALE ICSC E IL PROGETTO SAMOTHRACE

L’INFN pubblica due bandi a cascata per un valore complessivo di quasi tre milioni e mezzo di euro rivolti a soggetti sia privati sia pubblici per contribuire allo sviluppo e alla crescita di ICSC – il Centro Nazionale di Ricerca in HPC, Big Data e Quantum Computing e dell’ecosistema Samothrace – Sicilian Micronanotech Research and Innovation Center, entrambi fondati e finanziati nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Il bando a cascata da 3 milioni e 200 mila euro bandito dall’INFN per lo spoke 2 di ICSC, dedicato alla ricerca spaziale e alla space economy, è rivolto alle micro, piccole e medie imprese, alle grandi imprese, e a organismi di ricerca pubblici, o a consorzi e raggruppamenti che coinvolgano più soggetti. Le tematiche sono molteplici, e comprendono per il lato accademico lo sviluppo algoritmi e strumenti di acquisizione, simulazione e analisi dati; per le imprese, opportunità di ricerca e sviluppo in campi come il calcolo a basso consumo, il porting e la gestione di codice su piattaforme eterogenee, lo sviluppo di strumenti per la space economy e la realizzazione di prototipi e proof-of-concept di codici industriali sulle piattaforme di ICSC.

Il cuore del bando a cascata da 155 mila euro, pubblicato dall’INFN nell’ambito dell’ecosistema Samothrace è, invece, quello di individuare soluzioni avanzate per la produzione di energia e per il monitoraggio dell’inquinamento ambientale, rispettivamente, attraverso la modellizzazione del potere d’arresto degli ioni in un plasma e la raccolta e analisi dei dati per il controllo della qualità dell’acqua. Questo bando è rivolto a soggetti privati, incluse le imprese, che svolgono attività coerenti con il programma di ricerca di Samothrace e che abbiano almeno una sede operativa nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia. I soggetti pubblici possono partecipare soltanto in forma associata.

RICAP 2024 Conference announcement

The 9th edition of the Roma International Conference on AstroParticle Physics will be organized by the INFN and University of Roma Tor Vergata. The acronym stands for Roma International Conference on Astro-Particle Physics, the Conference is entirely dedicated to the study of high energy cosmic rays and it is organized by the three public Universities of Roma (“Sapienza” University, University “Tor Vergata” and University “Roma Tre”). These Institutions provide both theoretical and experimental contributions and participate in major experimental projects in the field (AGILE, AMS, ANTARES, ARGO, Auger, CTA, Fermi, Virgo, Einstein Telescope, JEM-EUSO, KM3NeT, ,…). The Conference is held every two years.

more information in the conference website https://agenda.infn.it/event/35353/