CATTURARE IL FLUSSO DI ACCRESCIMENTO DEL BUCO NERO M87*

CATTURARE IL FLUSSO DI ACCRESCIMENTO DEL BUCO NERO M87*

A sei anni dalla pubblicazione della storica “fotografia” del buco nero supermassiccio M87*, la prima a immortalare un buco nero, la Collaborazione Event Horizon Telescope (EHT) presenta una nuova analisi su M87*. Questa analisi combina le osservazioni effettuate nel 2017 e nel 2018, e consente nuove intuizioni sulla struttura e la dinamica del plasma vicino al margine del buco nero. In particolare, i risultati, pubblicati oggi su Astronomy & Astrophysics, confermano che l’asse di rotazione del buco nero M87* punta lontano dalla Terra, e dimostrano che le turbolenze all’interno del disco di accrescimento – il gas in rotazione attorno al buco nero – giocano un ruolo importante nello spostamento del picco di luminosità dell’anello.

“L’ambiente di accrescimento di un buco nero è per sua natura turbolento e dinamico, e nel caso di M87*, le nostre osservazioni del 2017 e del 2018 mostrano quadri molto differenti tra loro”, spiega Hung-Yi Pu, coordinatore dello studio e ricercatore presso la National Taiwan Normal University. “Osservando il buco nero in evoluzione e confrontandone le osservazioni progressive, abbiamo fatto un importante passo avanti nella comprensione delle complesse dinamiche che lo governano”.

Le osservazioni del 2018 hanno confermato, infatti, non soltanto la presenza dell’anello luminoso di M87* catturato per la prima volta nel 2017, con un diametro di circa 43 microarcsecondi (coerentemente con le previsioni teoriche per l’ombra di un buco nero di 6,5 miliardi di masse solari), ma anche alcune previsioni teoriche rispetto alla rotazione del buco nero. Come ipotizzato dalla Collaborazione EHT, la regione più luminosa dell’anello si è spostata in senso antiorario, di circa 30 gradi rispetto al 2017, e il suo nuovo posizionamento valida anche la teoria secondo cui l’asse di rotazione del buco nero punta lontano dalla Terra. Questo spostamento è una diretta conseguenza delle forti turbolenze e instabilità che caratterizzano il disco di accrescimento, e che influenzano il modo in cui il materiale cade verso il buco nero e alimenta il potente getto relativistico osservabile a scale più ampie.

“Il flusso di accrescimento di M87* si manifesta sotto forma di un disco di gas caldo e magnetizzato che spiraleggia verso il buco nero. Il gas può muoversi nella stessa direzione della rotazione del buco nero (accrescimento progrado) oppure in direzione opposta (accrescimento retrogrado)”, spiega Mariafelicia De Laurentis, professoressa dell’Università di Napoli Federico II e ricercatrice dell’INFN. “Le nostre analisi suggeriscono che proprio quest’ultimo scenario, in cui il gas ruota contro la rotazione del buco nero, è quello che meglio giustifica le variazioni osservate nel corso degli anni. Questo perché il moto retrogrado genera un ambiente più turbolento e instabile, favorendo fluttuazioni più marcate nell’emissione luminosa dell’anello che circonda il buco nero”.

L’analisi dei dati, correlati presso il Max-Planck-Institut für Radioastronomie (MPIfR) e il MIT Haystack Observatory ed elaborati da un gruppo internazionale di diverse istituzioni, ha consentito non soltanto di interpretare in modo accurato le osservazioni del 2017 e del 2018, ma anche di compilare una libreria di circa 120.000 immagini di simulazione. Questa, tre volte più grande rispetto a quella utilizzata finora, aprirà a nuove previsioni teoriche su alcuni dei fenomeni più misteriosi dell’universo.

“Attualmente stiamo analizzando i dati del 2021 e 2022, e questo lavoro sarà determinante per rafforzare i vincoli statistici sui modelli di accrescimento e sulla dinamica magnetica intorno a M87*. L’estensione delle osservazioni su scale temporali più ampie ci consentirà di descrivere con maggiore precisione la turbolenza del plasma vicino all’orizzonte degli eventi e di mettere alla prova in modo più rigoroso le previsioni della relatività generale in condizioni estreme di gravità”, conclude De Laurentis.

 

La collaborazione EHT coinvolge più di 400 ricercatori provenienti da Africa, Asia, Europa, Nord e Sud America, con lo scopo di realizzare le immagini più nitide e dettagliate mai ottenute di un buco nero. Per raggiungere questo obiettivo, utilizza un telescopio virtuale grande quanto la Terra: un sistema rivoluzionario, di una precisione senza precedenti, che unisce telescopi di tutto il mondo tramite tecnologie all’avanguardia.

I telescopi coinvolti sono ALMA, APEX, il Telescopio IRAM da 30 metri, l’Osservatorio IRAM NOEMA, il James Clerk Maxwell Telescope (JCMT), il Large Millimeter Telescope (LMT), il Submillimeter Array (SMA), il Submillimeter Telescope (SMT), il South Pole Telescope (SPT), il Kitt Peak Telescope e il Greenland Telescope (GLT).

Il consorzio EHT è composto da 13 istituti: l’Istituto di Astronomia e Astrofisica dell’Academia Sinica, l’Università dell’Arizona, l’Università di Chicago, l’Osservatorio dell’Asia Orientale, l’Università Goethe di Francoforte, l’Institut de Radioastronomie Millimétrique, il Large Millimeter Telescope, l’Istituto Max Planck per la Radioastronomia, l’Osservatorio MIT Haystack, l’Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone, l’Istituto Perimetrale per la Fisica Teorica, l’Università Radboud e l’Osservatorio Astrofisico Smithsonian.

 

Immagini osservate e teoriche di M87*. I pannelli di sinistra mostrano immagini di M87* provenienti dalle campagne osservative di EHT del 2017 e del 2018. I pannelli centrali mostrano immagini esemplificative di una simulazione magnetoidrodinamica relativistica generale (GRMHD) in due momenti diversi. I pannelli di destra presentano le stesse istantanee della simulazione, sfocate per adattarsi alla risoluzione osservativa di EHT. Crediti: EHT Collaboration.

UNA NUOVA GENERAZIONE DI SCINTILLATORI PLASTICI GRAZIE ALLA STAMPA 3D

UNA NUOVA GENERAZIONE DI SCINTILLATORI PLASTICI GRAZIE ALLA STAMPA 3D

Innovativi scintillatori plastici ultraveloci sono stati realizzati per la prima volta attraverso la stampa 3D nell’ambito del progetto di ricerca SHINE (Plastic Scintillators Phantom via Additive Manufacturing Techniques), finanziato dalla Commissione Scientifica Nazionale 5 dell’INFN. Questo importante risultato, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Advanced Functional Materials, è frutto della sinergia tra gruppi di ricerca di diversi enti e università: oltre all’INFN, il CNR Nanotec, il CERN e le Università di Bari, del Salento, di Padova e di Trento.
Gli scintillatori, e in particolare gli scintillatori plastici, sono tra i materiali più utilizzati come rivelatori di radiazione ionizzante, dalla fisica delle alte energie alla medicina: assorbono radiazione ad alta energia e la convertono in luce visibile, facilitandone la misura. I costanti progressi in campo tecnologico e di ricerca richiedono scintillatori con prestazioni sempre più avanzate che spesso necessitano di geometrie complesse, impossibili da realizzare con le attuali tecniche di produzione.
Per rispondere a queste esigenze, gli scintillatori del progetto SHINE sono stati ottenuti utilizzando materiali compositi innovativi a base di polveri di perovskite, sintetizzate da ricercatrici e ricercatori del CNR Nanotec, e polissilani, opportunamente ingegnerizzati da un gruppo interdisciplinare dell’Università del Salento e di Padova, per riuscire a ottenere delle resine modellabili attraverso la stampa 3D, in modo da assolvere alle diverse funzioni richieste ai rivelatori.
Le polveri di perovskite sono, infatti, materiali estremante interessanti per le loro proprietà ottiche ed elettroniche. Ad oggi, sono note principalmente per la loro applicazione in celle solari, ma da qualche anno si stanno rivelando di grande interesse anche come rivelatori di radiazione per la loro tolleranza al danneggiamento da radiazione. “Gli scintillatori polisilossanici sono, invece, noti per le loro proprietà di resistenza alla radiazione, di deformabilità e di inerzia chimica anche in ambienti aggressivi”, spiega Sara Carturan coordinatrice dell’attività di sintesi e sviluppo di questa tipologia di scintillatori, presso i Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN.
“Gli innovativi scintillatori prodotti nell’ambito del progetto SHINE – spiega Anna Paola Caricato, della sezione INFN di Lecce e docente dell’Università del Salento, responsabile nazionale del progetto – costituiscono un importante punto di partenza verso rivelatori di nuova generazione a basso costo e con prestazioni avanzate che sono di interesse sia per la ricerca scientifica nei futuri collisori di particelle, sia per applicazioni in altri ambiti come quello medicale”, conclude Caricato.
“I rivelatori scintillanti sono anche dosimetri estremamente interessanti, perché, esposti alle radiazioni, possono fornire una loro misura in tempo reale”, spiega Alberto Quaranta, presidente della Commissione Scientifica Nazionale 5 dell’INFN. “Questa caratteristica, unita alla possibilità di modellare appositamente il rivelatore grazie alle tecniche di produzione additiva, apre la strada a promettenti applicazioni nella dosimetria clinica permettendo di seguire in tempo reale l’energia rilasciata sull’organo di interesse durante il trattamento, anche se questo è in movimento”, conclude Quaranta.

IL CHERENKOV TELESCOPE ARRAY OBSERVATORY DIVENTA UN ERIC

IL CHERENKOV TELESCOPE ARRAY OBSERVATORY DIVENTA UN ERIC

NOTA STAMPA. CTAO, il Cherenkov Telescope Array Observatory, il progetto per il più potente telescopio di raggi gamma di sempre, è ufficialmente diventato un ERIC, ossia uno European Research Infrastructure Consortium (ERIC). 

“Come INFN, siamo molto soddisfatti per l’istituzione, da parte della Commissione Europea, del nuovo status di ERIC per il Cherenkov Telescope Array Observatory: questa formalizzazione rappresenta, infatti, un passo importante per la realizzazione del progetto. CTAO è un grande progetto internazionale, alla cui costruzione l’INFN partecipa contribuendo ai Large-size Telescope. Il Cherenkov Telescope Array Observatory sarà capace di fornire un contributo rilevante a ricerche di punta in diversi settori di interesse per il nostro istituto: dalla fisica fondamentale all’astronomia multimessaggera, dalla ricerca della materia oscura alla nuova fisica”, commenta Antonio Zoccoli, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN.

 

Per approfondire:
a questo link la comunicazione del MUR Ministero dell’Università e della Ricerca
a questo link la comunicazione di CTAO.

 

 

 

FERMI CONFERMA UNA SIGNIFICATIVA PERIODICITÀ NELL’EMISSIONE DI RAGGI GAMMA DI UN BLAZAR

FERMI CONFERMA UNA SIGNIFICATIVA PERIODICITÀ NELL’EMISSIONE DI RAGGI GAMMA DI UN BLAZAR

La collaborazione internazionale della missione Fermi Large Area Telescope (LAT) della NASA, utilizzando oltre 15 anni di osservazioni, ha confermato una significativa oscillazione periodica nel flusso elettromagnetico gamma e in altre bande elettromagnetiche emesso dal getto relativistico del blazar PG 1553+113. Questo blazar, sorgente di alte energie piuttosto nota, si trova nella direzione della costellazione del Serpente, a circa 5 miliardi di anni luce dalla Terra. I risultati delle osservazioni sono stati illustrati in uno studio da poco pubblicato su The Astrophysical Journal.

I buchi neri supermassicci, con masse milioni di volte quella del Sole, si trovano al centro della maggior parte delle grandi galassie. Circa l’1% è attivo ed emette energie miliardi di volte maggiori di quella della nostra stella, con comportamenti imprevedibili nel tempo che variano su scale che vanno da minuti a decine di anni. Più della metà delle sorgenti di raggi gamma osservate dallo strumento LAT del satellite Fermi sono galassie attive, chiamate blazar, come PG 1553+113. I blazar devono la loro luminosità alla presenza di un getto, composto da particelle, gas e radiazione luminosa, puntato direttamente verso la nostra linea di vista sulla Terra. 

Il primo indizio di un’oscillazione periodica in grado di modulare la luminosità osservata ad alta energia emessa da PG 1553+113 era stato al centro di un articolo scritto dallo stesso gruppo di ricerca in seno alla Collaborazione LAT nel 2015. Ora, nove anni dopo, l’oscillazione viene confermata con maggiore significatività grazie al monitoraggio continuo del cielo nei raggi gamma, condotto dal Fermi LAT. Questa scoperta rappresenta la prima emissione ciclica di raggi gamma su scala di anni mai rilevata con sufficiente significatività da una galassia attiva. Ciò potrebbe offrire nuove idee sui processi fisici in atto vicino al buco nero supermassiccio centrale e al suo getto relativistico.

“Grazie ai progressi nelle tecniche di analisi e al notevole ampliamento dell’insieme di dati raccolti, e raddoppiando l’intervallo temporale rispetto al primo studio, dopo 15 anni abbiamo ottenuto una stima più precisa della significatività dell’oscillazione scoperta in PG 1553+113, che ha un periodo di 2,1 anni”, ha dichiarato Stefano Ciprini, che ha coordinato questo lavoro presso la Sezione di Roma Tor Vergata dell’INFN, con incarico anche presso lo Space Science Data Center (SSDC) dell’ASI. “Inoltre – prosegue Ciprini – siamo stati in grado di migliorare anche le stime precedenti sulla correlazione tra le variazioni di luminosità ottica, radio e gamma”.

“Raddoppiando l’intervallo della serie temporale, abbiamo potuto calcolare ora che la probabilità che la periodicità nella modulazione del flusso emesso sia dovuta a cambiamenti variabili completamente casuali è inferiore all’uno percento – ha affermato Stefan Larsson, ricercatore presso il Royal Institute of Technology di Stoccolma, in Svezia. “Le variazioni cicliche nella luce visibile e nelle onde radio sono pure simili a quelle che osserviamo nei raggi gamma ad alta energia, quindi coerenti su un’ampia gamma di lunghezze d’onda”, ha aggiunto Larsson.

“Abbiamo identificato diversi scenari astrofisici che potrebbero spiegare un tale comportamento. Tra essi il più intrigante è rappresentato da perturbazioni originate dalla ‘danza’ di una stretta coppia di due buchi neri supermassicci gravitanti l’uno attorno all’altro, e situati al centro di PG 1553+113”, ha dichiarato Sara Cutini, ricercatrice della Sezione di Perugia dell’INFN. “La sua natura unica potrebbe essere compatibile con la recente scoperta di varie collaborazioni di Pulsar Timing Array di una possibile rivelazione indiretta di onde gravitazionali a bassa frequenza”, conclude Cutini.

“Qualche anno dopo l’articolo del 2015, alcuni studi hanno evidenziato l’esistenza di una lista di ulteriori blazar gamma osservati dal Fermi-LAT che potrebbero mostrare alcune evidenze di un comportamento periodico, ma PG 1553+113 presenta, finora, la periodicità più significativa”, ha dichiarato Paolo Cristarella Orestano, dottorando dell’Università di Perugia, associato all’INFN.

“Scenari alternativi per spiegare le osservazioni possono essere perturbazioni, stress e momenti torcenti nel materiale che accresce attorno a un singolo buco nero supermassiccio, instabilità e un’oscillazione ciclica nel plasma dentro il getto o del getto stesso, oppure oggetti di massa stellare in orbita quasi perpendicolare rispetto al piano di accrescimento di un singolo buco nero centrale”, ha concluso Stefano Ciprini.

In aggiunta ai dati gamma di Fermi analizzati dai ricercatori INFN, nel lavoro sono presentate più di 430 osservazioni di PG 1553+113 in raggi X, luce ultravioletta e ottica, ottenute dal satellite Swift, e che sono state analizzate da tecnologi INAF con incarico presso il centro SSDC.

“Questo lavoro è l’ennesima riprova di come la sinergia tra osservatori posti su satelliti per le alte energie, tra cui Fermi e Swift, entrambe missioni NASA con un forte contributo ASI, possa ancora fornire risultati di elevata rilevanza scientifica” ha commentato Valerio D’Elia dell’ASI, Responsabile di Programma dell’Accordo ASI-INFN per SSDC. “La valenza di tali risultati si estende ben oltre lo spettro elettromagnetico – prosegue D’Elia – perché avrà anche possibili ricadute sui modelli di emissione di onde gravitazionali da oggetti di elevata massa, che sono proprio uno dei principali target scientifici della futura missione spaziale LISA, nella quale l’Agenzia avrà un ruolo estremamente importante”.

Il Fermi Gamma-ray Space Telescope della NASA è stato lanciato nel giugno 2008. La missione, che unisce astrofisica e fisica delle particelle, è stata sviluppata con il supporto del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti e con importanti contributi da istituzioni accademiche ed enti di ricerca negli Stati Uniti, Italia, Francia, Giappone e Svezia. In particolare, in Italia gli enti coinvolti sono ASI, INFN e INAF. L’SSDC di ASI ospita tutti i dati della missione, tramite un “mirror” ufficiale dell’archivio di alto livello.

 

Immagine ©S.Ciprini

 

 

DAI MINERALI DEL MEDITERRANEO POSSIBILI INDIZI SULLA STORIA DELL’UNIVERSO

DAI MINERALI DEL MEDITERRANEO POSSIBILI INDIZI SULLA STORIA DELL’UNIVERSO

Antichi minerali, formatisi sei milioni di anni fa durante il prosciugamento del Mar Mediterraneo e conosciuti come “evaporiti”, potrebbero custodire preziose tracce dell’interazione con i raggi cosmici e rivelarci importanti informazioni sulla storia del nostro universo. È quanto emerge da uno studio pubblicato oggi, 17 dicembre, sulla rivista scientifica Physical Review D, da un gruppo di ricercatori dell’INFN, dell’Università degli Studi di Milano Statale, del consiglio nazionale delle ricerche francese CNRS e della Sapienza Università di Roma.
Secondo lo studio, dall’analisi degli evaporiti si potrebbe risalire a una stima del flusso di raggi cosmici che ha colpito la Terra tra 5,5 e 6 milioni di anni fa. In particolare, analizzando le lesioni causate dai raggi cosmici in questi minerali, si potrebbero trovare evidenze di un evento cataclismico, come un’esplosione di supernova, verificatosi in quel periodo, a una distanza relativamente vicina alla Terra, entro un centinaio di anni luce.
Infatti, secondo i modelli geologici più accreditati, circa sei milioni di anni fa, a causa di movimenti tettonici, lo Stretto di Gibilterra si chiuse, causando un’evaporazione parziale del Mar Mediterraneo e la formazione di rocce (evaporiti), principalmente gesso e Halite, ossia cristalli del comune sale che si utilizza in cucina. Questi minerali furono esposti all’aria o sotto un sottile strato di acqua fino a che lo stretto non si riaprì, dopo circa mezzo milione di anni, inondando velocemente il bacino. Durante questo periodo di siccità, i cristalli furono costantemente bombardati dai raggi cosmici, che potrebbero aver causato dei danni nei cristalli.
“Il nostro è il primo lavoro che propone di utilizzare minerali naturali per osservare le tracce di raggi cosmici ed è in controtendenza con quanto proposto finora da ricercatrici e ricercatori in fisica,” racconta Lorenzo Caccianiga, ricercatore INFN e primo autore di questa ricerca. “Negli ultimi anni, infatti, si è proposto di usare minerali naturali per cercare eventi rari, come quelli che potrebbero essere prodotti da materia oscura o neutrini, impiegando minerali estratti dal profondo della Terra proprio per evitare le esposizioni ai raggi cosmici, ma non era ancora stato ipotizzato di impiegare minerali esposti ai raggi cosmici per cercare di comprendere come il flusso di queste particelle sia cambiato nel corso del tempo.”
Questo studio apre, così, una nuova strada per indagare grandi eventi astrofisici che possono essere avvenuti nel passato e ha un forte interesse anche per la biologia e la paleontologia.
“Ora sarebbe interessante effettuare queste misure prelevando campioni di questi minerali nelle profondità del Mediterraneo. Ma non solo, analizzare nello stesso modo minerali esposti ai raggi cosmici durante le estinzioni di massa potrebbe aiutarci a testare alcune teorie che ne individuano la causa in eventi cataclismici come le esplosioni di supernova nelle vicinanze del nostro pianeta,” conclude Caccianiga. “Potrebbe emergere perfino che un elevato flusso di raggi cosmici abbia avuto un ruolo cruciale nelle estinzioni.”

PNRR: DUE ANNI DI ATTIVITÀ IL PROGETTO KM3NET4RR

PNRR: DUE ANNI DI ATTIVITÀ IL PROGETTO KM3NET4RR

È la più grande infrastruttura di ricerca sottomarina a oltre tremila metri di profondità nel Mar Mediterraneo: si chiama KM3NeT ed è un rivelatore di neutrini cosmici che nella sua configurazione finale occuperà un volume di un chilometro cubo, con il rilevatore ARCA, in Italia, al largo di Portopalo di Capo Passero in Sicilia, ottimizzato per la ricerca di sorgenti di neutrini ad alta energia nell’universo, e il rilevatore ORCA, in Francia al largo di Tolone, dedicato allo studio della massa dei neutrini. L’infrastruttura di KM3NeT ospita, inoltre, strumentazione per le scienze della Terra e dell’oceano. KM3NeT contribuirà in modo significativo anche alle ricerche della cosiddetta astronomia multimessaggera, tanto che la sua rilevanza scientifica è stata riconosciuta anche da ESFRI, lo European Strategy Forum on Research Infrastructures, che lo ha inserito nella sua roadmap dei grandi progetti su cui è importante investire in Europa. L’Italia, che assieme a Francia e Paesi Bassi è capofila di KM3NeT, ha dedicato al significativo potenziamento del rilevatore ARCA il progetto KM3NeT4RR, coordinato dall’INFN e finanziato con 67 milioni di euro, nell’ambito della Missione 4 coordinata dal MUR Ministero dell’Università e della Ricerca del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Next Generation EU. Oggi, 12 dicembre, a due anni dal suo avvio, KM3NeT4RR ha convocato alla Sapienza Università di Roma la sua Assemblea Generale, un momento di incontro e confronto per la comunità scientifica sui risultati raggiunti finora e sui prossimi impegni.

“L’Assemblea Generale di KM3NeT4RR, che ha visto una grandissima partecipazione della sua comunità, ha offerto a tutti e tutte noi l’occasione per condividere lo stato di avanzamento del lavoro e identificare insieme gli obiettivi cruciali che dovremo affrontare nell’anno conclusivo del progetto”, spiega Giacomo Cuttone, Principal Investigator di KM3NeT4RR. “KM3NeT4RR finanzia azioni cruciali per l’ampliamento del sito italiano dell’osservatorio sottomarino KM3NeT, che una volta ultimato conterà 230 linee sottomarine di rivelazione. Il progetto KM3NeT4RR permetterà di ampliare in modo significativo le potenzialità del telescopio sottomarino per neutrini ARCA, contribuendo in modo determinante allo sviluppo dei programmi scientifici di astronomia multimessagera”. “Grazie ai finanziamenti del PNRR si arriverà a completare circa i 2/3 dell’infrastruttura finale, dotando l’INFN anche dei laboratori e del personale necessario all’ampliamento, alla costruzione e all’installazione della rete di fondo e dei sistemi di rivelazione”, conclude Cuttone.

“All’interno del programma della giornata dell’Assemblea Generale – racconta Sebastiano Ciancio, Infrastructure Manager di KM3NeT4RR – oltre a fare il punto della attività del progetto, abbiamo anche previsto uno spazio per condividere con gli altri progetti infrastrutturali a guida INFN finanziati con i fondi PNRR le principali sfide che saranno affrontate nell’ultimo anno di gestione: un’importante e utile opportunità di incontro e scambio con i colleghi di ETIC, EUAPS, IRIS, TeRABIT e LNGS-FUTURE”.

In KM3NeT4RR sono impegnate le strutture INFN dei Laboratori Nazionali del Sud, e le Sezioni di Napoli, Catania, Bari, Bologna, Roma e Genova. Sono inoltre coinvolte anche le strutture dell’INAF Istituto Nazionale di Astrofisica di Catania e Palermo, oltre all’Università Vanvitelli, l’Università degli Studi di Salerno, il Politecnico di Bari, due Dipartimenti dell’Università di Catania, l’Università Federico II di Napoli, l’Università di Genova e la Sapienza Università di Roma.

 

 

 

 

 

 

 

 

EINSTEIN TELESCOPE: FIRMATA UNA LETTERA DI INTENTI TRA INFN E DZA

EINSTEIN TELESCOPE: FIRMATA UNA LETTERA DI INTENTI TRA INFN E DZA

L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e il Deutsches Zentrum für Astrophysik (DZA) hanno siglato una lettera di intenti per l’avvio di una collaborazione che punti a rafforzare le attività di ricerca e sviluppo tecnologico sul progetto Einstein Telescope (ET). L’accordo è stato firmato lo scorso venerdì 6 dicembre a Roma, nella sede della presidenza dell’INFN, dal presidente dell’INFN Antonio Zoccoli e dal direttore del DZA Günther Hasinger.
L’obiettivo di ET è costruire nei prossimi anni in Europa una grande infrastruttura di ricerca sotterranea che ospiterà il futuro rivelatore di onde gravitazionali di terza generazione. Per le prospettive che potrà aprire in termini sia di nuove conoscenze scientifiche, sia di innovazione tecnologica, è ritenuto un progetto di punta a livello internazionale, tanto da essere incluso nella Roadmap 2021 di ESFRI (European Strategy Forum on Research Insfrastructures), l’organismo europeo che indica su quali infrastrutture scientifiche è decisivo investire in Europa.
In quest’ottica, INFN e DZA intendono impegnarsi al massimo per una futura cooperazione, con l’obiettivo di contribuire in modo significativo alle tante sfide di ricerca, sia scientifica sia tecnologica, che un progetto come ET lancerà alla comunità scientifica nei prossimi anni. Più nel dettaglio, la collaborazione tra i due enti riguarderà la caratterizzazione del sito candidato di Sos Enattos, in Sardegna, e del sito tedesco in Lusazia, la cui candidatura per ospitare ET è stata proposta recentemente alla comunità scientifica. Inoltre, l’accordo prevede la realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo congiunti, in particolare nella fase di progettazione dell’esperimento, nella quale verranno studiate entrambe le ipotesi di configurazione del rivelatore, sia quella che prevede la costruzione di due strumenti a forma di “elle” in Sardegna e Lusazia, sia quella di un unico rivelatore di forma triangolare in una delle due regioni.
Infine, i due enti favoriranno lo scambio di ricercatori e ricercatrici tra i due Paesi e organizzeranno seminari e workshop congiunti, oltre a invitare anche altri istituti europei a unirsi all’accordo di collaborazione.

 

 

 

ALICE ESPLORA L’INTERAZIONE FORTE NEI SISTEMI A TRE CORPI

ALICE ESPLORA L’INTERAZIONE FORTE NEI SISTEMI A TRE CORPI

Una forza fondamentale è solitamente descritta come un’interazione tra due corpi, ovvero si ipotizza che la forza tra due corpi non sia influenzata in alcun modo dalla presenza di altri nelle vicinanze. Ma quando si passa da semplici coppie a sistemi più complessi, la descrizione della dinamica di questa interazione diventa particolarmente sfuggente, specie da un punto di vista sperimentale. In uno studio recentemente pubblicato su Physical Review X, l’esperimento ALICE all’acceleratore LHC del CERN ha testato un innovativo metodo sperimentale per indagare i sistemi nucleari a tre corpi, aprendo la strada alla misura precisa delle loro interazioni, con la possibilità di includere anche particelle esotiche.

Lo studio si concentra sulle correlazioni tra deutoni e kaoni, e tra deutoni e protoni, prodotti dalle collisioni protone-protone ad alta energia a LHC. Queste collisioni generano un gran numero di particelle che, emesse molto vicine tra loro, a distanze dell’ordine di 10-15 m (un femtometro), possono risultare soggette, in coppia, a effetti dovuti alla statistica quantistica, alla forza di Coulomb, e all’interazione forte tra di loro. Tuttavia, alcune coppie, formate in apparenza da due elementi, nascondono un sistema a tre corpi, e dunque rispondono diversamente alle interazioni a corto raggio. È il caso delle coppie contenenti deutoni, composti a loro volta da un protone e un neutrone legati dall’interazione forte.

La collaborazione ALICE ha applicato ai sistemi kaone-deutone e protone-deutone il metodo della femtoscopia, misurando la correlazione tra l’impulso di queste particelle quando sono prodotte nella collisione. I risultati ottenuti, nel caso della correlazione kaone-deutone – due particelle perfettamente distinguibili –, possono essere descritti utilizzando un modello a due corpi, mentre nel caso delle correlazioni protone-deutone, la struttura interna del deutone (un protone e un neutrone) complica la dinamica, e per spiegarla occorre prendere in considerazione un sistema a tre nucleoni.

“Nelle collisioni protone-protone a LHC, esiste la possibilità che particelle emesse in direzioni relativamente parallele, e che rimangono vicine durante il moto, interagiscano  brevemente prima che le loro traiettorie si separino. Questa possibilità consente di studiare le forze anche tra particelle molto esotiche”, commenta Oton Vazquez Doce, coordinatore dello studio e ricercatore presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN. “Negli ultimi anni, il metodo della femtoscopia è stato utilizzato da ALICE per studiare l’interazione forte tra coppie di particelle che non erano accessibili con i metodi tradizionali. Adesso, il metodo è stato esteso per analizzare anche le dinamiche a tre corpi”.

“I risultati dell’esperimento ALICE permettono di estrarre preziose informazioni sulle interazioni di kaoni, iperoni e altre particelle instabili con i nucleoni, informazioni molto difficili da ottenere in esperimenti tradizionali di scattering. Nel caso della correlazione  protone-deutone il paragone tra dati sperimentali e calcoli teorici ha permesso di esaminare i modelli di coalescenza (formazione di nuclei), e di valutare l’attuale conoscenza delle interazioni tra due e tre nucleoni. La particolare sensibilità della correlazione protone-deutone alla struttura interna del deutone permette infatti di valutare effetti della forza a tre nucleoni, uno degli elementi meno conosciuti dell’interazione nucleare, attualmente oggetto di intensi studi”, hanno dichiarato Alejandro Kievsky e Michele Viviani, del gruppo teorico INFN di Pisa, e Laura Elisa Marcucci, dell’Università di Pisa e membro del gruppo teorico INFN di Pisa.

“Per il raggiungimento di questi risultati è stata fondamentale la sinergia tra i fisici sperimentali dell’esperimento ALICE, e in particolare i colleghi INFN di Frascati che hanno portato avanti questo studio, e il gruppo teorico dell’INFN di Pisa, responsabile dei calcoli”, ha commentato Federico Antinori, ricercatore della sezione INFN di Padova, già responsabile internazionale dell’esperimento ALICE. “Siamo orgogliosi di aver apportato un contributo significativo su entrambi i fronti, sperimentale e teorico, e di aver lavorato a uno studio pionieristico che apre prospettive molto promettenti per lo studio delle interazioni a più corpi”.

I risultati di questo lavoro rappresentano infatti un significativo passo in avanti per l’approfondimento di fenomeni complessi come la struttura dei nuclei, le proprietà della materia nucleare densa e la composizione dei nuclei delle stelle di neutroni. Il metodo inaugurato con questo lavoro consentirebbe di studiare in modo diretto le forze a tre corpi nei sistemi con quark strani e charm, particelle instabili prodotte copiosamente nelle collisioni nucleari a LHC, e che si ritiene possano giocare un ruolo fondamentale nella composizione delle stelle di neutroni.

 

Illustrazione dell’interazione forte nel sistema protone-deutone prodotto nelle collisioni protone-protone a LHC ©ALICE/CERN
Foto dell’esperimento ALICE ©CERN

MASTERCLASS SULLA MATERIA OSCURA: OLTRE 150 STUDENTI ALLA SCOPERTA DEI MISTERI DELL’UNIVERSO

MASTERCLASS SULLA MATERIA OSCURA: OLTRE 150 STUDENTI ALLA SCOPERTA DEI MISTERI DELL’UNIVERSO

Che cos’è la materia oscura? Come possiamo rivelarla? Quali esperimenti se ne occupano? Oggi, 3 dicembre, oltre 150 studentesse e studenti di alcune scuole superiori di Bologna, Cagliari, Catania e L’Aquila cercheranno di rispondere a queste domande partecipando a una masterclass sulla materia oscura organizzata dall’INFN nell’ambito del progetto per le scuole Masterclass di Fisica. Il progetto propone giornate di approfondimento su alcuni temi della fisica contemporanea, in cui studentesse e studenti possono essere ricercatrici e ricercatori per un giorno e hanno la possibilità di analizzare in prima persona dati di esperimenti internazionali.

La masterclass sulla materia oscura è stata realizzata dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN e dalle Sezioni INFN di Bologna, Cagliari e Catania, in collaborazione con i rispettivi atenei. La masterclass è focalizzata sulle tecniche di ricerca della materia oscura e include seminari introduttivi e sessioni pratiche sull’analisi dei dati. In particolare, gli studenti e le studentesse proveranno ad analizzare alcuni dati degli esperimenti DarkSide-50 e XENONnT, in attività ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN. Come avviene in ogni collaborazione internazionale, alla fine della giornata è previsto un collegamento per un confronto dei risultati tra i partecipanti di tutte le sedi. 

Oltre alle masterclass sulla materia oscura di cui per quest’anno scolastico è prevista un’altra data tra febbraio e marzo, il progetto Masterclass di Fisica propone anche masterclass internazionali su esperimenti di fisica delle particelle, fisica delle astroparticelle e applicazioni della fisica per la terapia medica. Masterclass di Fisica è un progetto nazionale realizzato dall’INFN attraverso il Comitato di Coordinamento della Terza Missione (CC3M) che sostiene i progetti di Public Engagement promossi dalla comunità di ricerca grazie a un processo di peer-review interno. 

INTERNATIONAL COSMIC DAY: STUDENTESSE E STUDENTI ALLA RICERCA DEI RAGGI COSMICI

INTERNATIONAL COSMIC DAY: STUDENTESSE E STUDENTI ALLA RICERCA DEI RAGGI COSMICI

Oltre 1200 studenti e studentesse in presenza e circa 1300 online partecipano oggi, 26 novembre, all’International Cosmic Day 2024, la giornata internazionale dedicata alla fisica dei raggi cosmici, coordinata in Italia dal progetto dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare OCRA – Outreach Cosmic Ray Activities, rivolto a docenti e studenti delle scuole superiori di tutta Italia per coinvolgerli nella fisica dei raggi cosmici.

Che cosa sono le particelle cosmiche? Da dove provengono? Che messaggi portano? Come possiamo misurarle? Queste le domande a cui studenti e studentesse delle scuole superiori, in aule universitarie e laboratori di ricerca, proveranno a rispondere con esperimenti in prima persona in questa giornata dedicata ai raggi cosmici.

Gli studenti italiani, come altri coetanei all’estero, hanno oggi l’occasione di cimentarsi nell’analisi dei dati di un vero e proprio rivelatore di raggi cosmici, lo strumento con cui si rivela la pioggia di particelle proveniente dal cosmo. Nelle prossime settimane alcuni studenti parteciperanno, inoltre, a percorsi di approfondimento su varie tematiche nell’ambito dei raggi cosmici che prevedono attività sperimentali e la stesura di un articolo scientifico finale.

Gli incontri nelle università e nei laboratori dell’INFN sono stati organizzati quest’anno dalle Sezioni o gruppi collegati INFN di Bari, Catania, Cosenza, Ferrara, Firenze, Genova, Lecce, Milano Bicocca, Napoli, Padova, Palermo, Pavia, Perugia, Pisa, Roma Sapienza, Roma Tor Vergata, Roma Tre, Siena, Torino e Trieste, insieme al TIFPA di Trento e ai Laboratori Nazionali dell’INFN di Frascati, Legnaro e del Gran Sasso in collaborazione con il GSSI Gran Sasso Science Institute e l’ Università degli Studi dell’Aquila.

Il collegamento online è organizzato dalla Sezione INFN di Milano ed è previsto alle 10.30 sul canale YouTube dei progetti educational dell’INFN.

Il progetto OCRA e l’International Cosmic Day ICD

OCRA – Outreach Cosmic Ray Activities è un progetto realizzato dall’INFN attraverso il Comitato di Coordinamento della Terza Missione (CC3M) che sostiene i progetti di Public Engagement promossi dalla comunità di ricerca grazie a un processo di peer-review interno.  OCRA è stato ideato nel 2019 con l’idea di avvicinare i giovani al metodo scientifico e alla fisica dei raggi cosmici, proponendo alle scuole attività in cui gli studenti partecipano in prima persona a misure di muoni atmosferici utilizzando strumenti realizzati con tecnologie all’avanguardia, simili a quelle di alcuni esperimenti di punta dell’INFN ma di facile utilizzo e adatte all’uso a scuola e durante festival e attività con il pubblico.

Il progetto OCRA coinvolge docenti e ricercatori nelle sezioni INFN e università nelle sedi di Bari, Cagliari, Cosenza, Ferrara, Firenze, Lecce, Milano, Milano Bicocca, Napoli, Padova, Pavia, Perugia, Pisa, Roma, Roma Tor Vergata, Roma Tre, Sassari, Siena, Torino, Trieste e, infine, del TIFPA di Trento, dei Laboratori Nazionali dell’INFN di Legnaro, di Frascati, e del Gran Sasso in collaborazione con il GSSI – Gran Sasso Science Institute e l’Università degli Studi dell’Aquila.

L’ICD è un’iniziativa internazionale che si propone di avvicinare le studentesse e gli studenti delle scuole superiori al mondo della ricerca scientifica di frontiera, accompagnandoli tra i misteri dell’universo racchiusi nei raggi cosmici. L’iniziativa è coordinata a livello mondiale dal centro di ricerca tedesco DESY di Amburgo e organizzata in collaborazione, oltre che con l’INFN e varie università italiane, con i più importanti centri di ricerca che operano nell’ambito della fisica delle particelle: il CERN di Ginevra, il Fermilab di Chicago e i gruppi International Particle Physics Outreach Group (IPPOG), il tedesco Netzwerk Teilchenwelt e lo statunitense QuarkNet.