ERC STARTING GRANT: A MARTINA GERBINO DELL’INFN 1,5 MILIONI DI EURO PER IL PROGETTO RELICS

ERC STARTING GRANT: A MARTINA GERBINO DELL’INFN 1,5 MILIONI DI EURO PER IL PROGETTO RELICS

L’European Research Council ha assegnato a Martina Gerbino, ricercatrice INFN della Sezione di Ferrara, uno Starting Grant del valore di 1,5 milioni di euro, per il suo progetto di ricerca RELiCS, dedicato allo studio delle proprietà dei neutrini e di altre particelle leggere attraverso la creazione di una forte sinergia tra i modelli teorici e i dati di più esperimenti dedicati allo studio della radiazione cosmica di fondo (CMB), la più antica forma di radiazione osservabile coi nostri telescopi.

“Vincere questo finanziamento è un’immensa soddisfazione a coronamento del tanto lavoro svolto e del supporto ricevuto da tante persone negli anni, che desidero ringraziare per il loro costante sostegno scientifico e personale. È, inoltre, una grandissima opportunità di crescita nel panorama internazionale,” commenta Martina Gerbino. “Avrò la possibilità di creare un gruppo di ricerca formato da persone con diverse specializzazioni che accompagneranno la preparazione, l’analisi e l’interpretazione scientifica dei dati del Simons Observatory e apriranno la strada agli esperimenti futuri sulla radiazione cosmica di fondo”.

Nei prossimi anni, la comunità scientifica avrà a disposizione un numero sempre maggiore di dati sulla CMB grazie a nuovi esperimenti oggi in fase di costruzione, come il Simons Observatory, osservatorio installato nel deserto dell’Atacama in Cile, o gli esperimenti CMB-S4 e LiteBIRD, che entro la fine degli anni ’20 saranno operativi rispettivamente da terra (al Polo Sud e in Cile) e nello spazio. L’obiettivo di questi esperimenti sarà anche quello di conoscere meglio le particelle che popolano il nostro universo, testando le proprietà di particelle già note come i neutrini ma anche cercando di rivelare altre particelle leggere, ad oggi sconosciute, che potrebbero aprire scenari di nuova fisica. Per rispondere a questa sempre crescente quantità di dati sperimentali è stato ideato il progetto RELiCS.
RELiCS metterà in campo per la prima volta un’infrastruttura di analisi che collegherà modellizzazione teorica, comprensione di effetti sistematici strumentali, analisi dati, inferenza statistica e confronto tra comunità scientifiche sinergiche. Grazie a questa nuova infrastruttura, RELiCS permetterà all’analisi e all’interpretazione dei dati di stare al passo degli esperimenti e potrà contribuire a colmare i vuoti nella nostra comprensione dei costituenti fondamentali dell’universo.

“Il lavoro del nostro gruppo dovrà seguire dei ritmi molto serrati per cogliere tutte le opportunità fornite dai dati che verranno raccolti a breve,” spiega Gerbino. “La natura di RELiCS è fortemente multidisciplinare e rispecchia le numerose sfide da affrontare: da un’accurata traduzione dei modelli teorici in precise predizioni da confrontare con i dati sperimentali a una profonda conoscenza dell’apparato sperimentale e di eventuali effetti strumentali che potrebbero essere confusi con un segnale cosmologico, fino a una dettagliata analisi statistica per estrarre robuste informazioni sulle misteriose particelle che vogliamo conoscere. Infine, RELiCS finanzierà l’espansione dell’infrastruttura di calcolo locale: il successo del progetto passa anche dalla possibilità di avere facile e immediato accesso a risorse di calcolo avanzato”.

Martina Gerbino è prima ricercatrice INFN e associata all’Università di Ferrara. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Fisica alla Sapienza Università di Roma e ha svolto attività di ricerca presso l’Oskar Klein Centre for Cosmoparticle Physics (OKC) di Stoccolma e presso l’Argonne National Laboratory (ANL) negli Stati Uniti. È una fisica teorica che lavora all’intersezione tra teoria e osservazioni: la sua attività di ricerca è incentrata sullo studio della fisica fondamentale tramite l’interpretazione di osservazioni cosmologiche, con particolare interesse per la fisica del neutrino e, in generale, per l’ambito cosmologico-particellare. Martina è esperta di analisi e interpretazione fenomenologica dei dati ottenuti dall’osservazione della radiazione cosmica di fondo (CMB) ed è componente di varie collaborazioni scientifiche internazionali (Simons Observatory, CMB-S4, LiteBIRD ed Euclid). Ricopre diversi ruoli di coordinamento: è coordinatrice del gruppo di fisica teorica della sezione INFN di Ferrara, responsabile del Governing Board della collaborazione CMB-S4 e co-leader del “Likelihood&Theory” working group del Simons Observatory.

DA GINEVRA A BOLOGNA IN 9,5 MILLISECONDI

DA GINEVRA A BOLOGNA IN 9,5 MILLISECONDI

Per la prima volta, la rete italiana dell’istruzione e della ricerca GARR e l’europea GÉANT hanno collegato con successo due data centre, distanti oltre 1000 km: il Centro Nazionale di Calcolo CNAF dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) a Bologna e il Centro di Calcolo del CERN a Ginevra, con una capacità di 1,6 Tbps e una latenza di soli 9,5 millisecondi, grazie allo spettro condiviso multidominio. Con questa interconnessione ultra-veloce, i due centri dati, in Italia e in Svizzera, possono ora lavorare insieme in modo trasparente nonostante la distanza e i diversi domini amministrativi.

La soluzione adottata offre una connessione molto più veloce, con una capacità più ampia e scalabile, a una frazione del costo di aggiornamento di una tradizionale connessione a pacchetto. Questo importante traguardo tecnologico si avvale della condivisione dello spettro ottico della fibra (spectrum sharing) tra GÉANT e GARR, resa possibile dall’innovativo design della rete ottica delle due reti, parzialmente disaggregata.

“Con questa condivisione multidominio dello spettro, abbiamo superato i limiti della tecnologia attualmente disponibile e siamo andati oltre ciò che si pensava fosse fattibile per creare qualcosa di nuovo: un modello comune che ora è replicabile in altre città e da altre organizzazioni”, commenta Massimo Carboni, Chief Technology Officer di GARR.

L’Interconnessione di Data Centre (DCI) tra CERN e CNAF è stata realizzata come progetto pilota del nuovo servizio di condivisione dello spettro di GÉANT. L’iniziativa è nata in previsione del considerevole volume di dati che verrà generato al CERN con il prossimo progetto High Luminosity LHC, che tra pochi anni potenzierà il super acceleratore Large Hadron Collider. Oltre a fornire una connessione molto più veloce e scalabile tra i due data centre per l’elaborazione dei dati offline, collegamenti DCI come questo hanno il potenziale per consentire a data centre come il CNAF di partecipare ancora più da vicino agli esperimenti di LHC, non solo ricevendo i dati per una successiva analisi, ma partecipando direttamente alla selezione degli eventi che, fino ad ora, è stata possibile solo in determinate strutture, le “trigger farm”, situate in prossimità agli esperimenti stessi.

“Questa tecnologia è dirompente non solo perché fornisce una soluzione più economica alla straordinaria capacità trasmissiva richiesta da LHC tra il CERN e ogni nodo di primo livello come il CNAF, ma anche perché questa connessione diretta, puramente ottica, apre nuove strade per le applicazioni di interconnessione tra data centre e estensioni di data centre (data centre stretching)”, spiega Stefano Zani, network manager dell’INFN-CNAF.

Questo progetto pilota è uno dei molteplici risultati del progetto GÉANT GN4-3 e, in particolare, dell’attività finalizzata alla creazione di un modello comune di interconnessione mediante la condivisione dello spettro tra le diverse reti nazionali della ricerca e dell’istruzione europee. GN4-3 è co-finanziato dalla Commissione europea e dalle reti nazionali della ricerca e dell’istruzione europee.

Il collegamento DCI tra CERN e CNAF è un esempio delle potenzialità offerte dalla rete GARR-T, la nuova infrastruttura GARR che permette di raggiungere collegamenti alla velocità del Terabit al secondo.

Per potenziare ed estendere ulteriormente a livello nazionale questa nuova rete, sono in corso due progetti: TeRABIT e ICSC (Centro Nazionale di Supercalcolo, High Performance Computing e Big Data), finanziati con i fondi del PNRR Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – Next Generation EU, nell’ambito della Missione 4 Istruzione e Ricerca coordinata dal MUR Ministero dell’Università e della Ricerca. Grazie a questi progetti sarà possibile replicare questo modello innovativo di interconnessione, oggi disponibile tra Ginevra e Bologna, in modo capillare anche nel resto d’Italia.

 

[Fotografia ©Pier Paolo Ricci]

 

 

 

 

ZEPRION: IN ORBITA PER SVILUPPARE NUOVI FARMACI

ZEPRION: IN ORBITA PER SVILUPPARE NUOVI FARMACI

Un esperimento lanciato con successo oggi, mercoledì 2 agosto, verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), potrebbe portare ad una validazione del meccanismo di funzionamento di un protocollo del tutto innovativo per lo sviluppo di nuovi farmaci contro gravi malattie neurodegenerative e non solo. Frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge diversi istituti accademici e l’azienda israeliana SpacePharma, l’esperimento ZePrion vede un fondamentale contributo dell’Italia attraverso l’Università Milano-Bicocca, l’Università di Trento, la Fondazione Telethon, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), e l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ibba). Decollato con la missione spaziale robotica di rifornimento NG-19 dalla base di Wallops Island, in Virginia (USA), ZePrion si propone di sfruttare le condizioni di microgravità presenti in orbita per verificare la possibilità di indurre la distruzione di specifiche proteine nella cellula, interferendo con il loro naturale meccanismo di ripiegamento (folding proteico). L’arrivo di NG-19 e Zeprion sulla ISS è previsto per venerdì 4 agosto, quando in Italia saranno all’incirca le 8:00.

Il successo dell’esperimento ZePrion fornirebbe un possibile modo per confermare il meccanismo molecolare alla base di una nuova tecnologia di ricerca farmacologica denominata Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting (PPI-FIT), sviluppata da due ricercatori delle Università Milano-Bicocca e di Trento e dell’INFN. L’approccio PPI-FIT si basa sull’identificazione di piccole molecole (dette ligandi), in grado di unirsi alla proteina che costituisce il bersaglio farmacologico durante il suo processo di ripiegamento spontaneo, evitando così che questa raggiunga la sua forma finale.

“La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici apre la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili”, spiega Pietro Faccioli, professore dell’Università Milano-Bicocca, ricercatore dell’INFN, coordinatore dell’esperimento e co-inventore della tecnologia PPI-FIT.

Un tassello finora mancante per la validazione della tecnologia è la possibilità di ottenere un’immagine ad alta risoluzione del legame tra le piccole molecole terapeutiche e le forme intermedie delle proteine bersaglio (quelle che si manifestano durante il ripiegamento), in grado di confermare in maniera definitiva l’interruzione del processo di ripiegamento stesso. In genere, questo tipo di immagine viene ottenuta analizzando con una tecnica chiamata cristallografia a raggi X cristalli formati dal complesso ligando-proteina. Nel caso degli intermedi proteici, però, gli esperimenti necessari non sono realizzabili all’interno dei laboratori sulla Terra, in quanto la gravità genera effetti che interferiscono con la formazione dei cristalli dei corpuscoli composti da ligando e proteina, quando questa non abbia ancora raggiunto la sua forma definitiva. Questo ha spinto le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione ZePrion a sfruttare la condizione di microgravità che la Stazione Spaziale Internazionale mette a disposizione.

“Esiste infatti chiara evidenza che la microgravità presente in orbita fornisca condizioni ideali per la creazione di cristalli di proteine”, illustra Emiliano Biasini, biochimico dell’Università di Trento e altro co-inventore di PPI-FIT, “ma nessun esperimento ha provato fino ad ora a generare cristalli di complessi proteina-ligando in cui la proteina non si trovi in uno stato definitivo”. Esattamente quanto si propone di fare l’esperimento ZePrion, lavorando in modo specifico sulla proteina prionica, balzata tristemente agli onori della cronaca negli anni Novanta durante la crisi del ‘morbo della mucca pazza’. Questa malattia è infatti causata da una forma alterata della proteina prionica chiamata prione, coinvolta in gravi malattie neurodegenerative dette appunto ‘da prioni’ tra le quali la malattia di Creutzfelt-Jakob o l’insonnia fatale familiare.

“Anche grazie al sostegno di Fondazione Telethon, che da sempre supporta le mie ricerche per individuare nuove terapie contro queste malattie, abbiamo l’opportunità di validare del meccanismo di funzionamento della tecnologia PPI-FIT, che potrebbe rappresentare veramente un punto di svolta in questo settore”, aggiunge Biasini.

“In orbita sarà possibile generare cristalli formati da complessi tra una piccola molecola e una forma intermedia della proteina prionica, che in condizioni di gravità ‘normale’ non sarebbero stabili. Questi cristalli potranno poi essere analizzati utilizzando la radiazione X prodotta con acceleratori di particelle, per fornire una fotografia tridimensionale del complesso con un dettaglio di risoluzione atomico. Campioni non cristallini ottenuti alla SSI verranno inoltre analizzati per Cryo-microscopia Elettronica di trasmissione (Cryo/EM)”, sottolinea Pietro Roversi, ricercatore Cnr-Ibba.

ZePrion si compone di un vero e proprio laboratorio biochimico in miniatura (lab-in-a-box) realizzato da SpacePharma, che opererà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e verrà controllato da remoto. Oltre alla componente italiana, la collaborazione ZePrion si avvale della partecipazione delle scienziate e degli scienziati dell’Università di Santiago di Compostela.

LE NAZIONI UNITE PROCLAMANO IL 2024-2033 DECENNIO DELLE SCIENZE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

LE NAZIONI UNITE PROCLAMANO IL 2024-2033 DECENNIO DELLE SCIENZE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel corso della 96a riunione plenaria della sua 77 a sessione, che si è tenuta lo scorso 25 agosto, ha deciso di adottare la risoluzione in base alla quale il periodo 2024-2033 viene proclamato il Decennio Internazionale delle Scienze per lo Sviluppo Sostenibile. L’obiettivo dell’iniziativa è offrire un’opportunità unica per l’umanità di avvantaggiarsi del ruolo fondamentale che le scienze svolgono nel perseguimento dello sviluppo sostenibile, come uno dei principali mezzi per la sua attuazione e per rispondere alle complesse sfide del nostro tempo, e garantire così garantire le condizioni per un futuro sicuro e prospero per tutti. La risoluzione è fortemente sostenuta da tutti i Paesi e le Istituzioni scientifiche che hanno partecipato all’Anno Internazionale delle Scienze di Base per lo Sviluppo Sostenibile (International Year of Basic Sciences for the Sustainable Development, IYBBSD, 2022-2023), tra cui l’Italia e l’INFN.

“Un modello di sviluppo più sostenibile richiede anche la progettazione e la realizzazione di innovazioni tecnologiche che riducano l’impatto ambientale e il consumo energetico delle attività umane”, sottolinea Marco Pallavicini, vicepresidente dell’INFN e componente del comitato direttivo dell’International Year of Basic Sciences for the Sustainable Development. “La scienza è un insostituibile motore del progresso tecnologico, e l’INFN è pienamente consapevole del ruolo che la ricerca di base può e deve avere nella determinante sfida verso uno sviluppo più sostenibile a beneficio di tutta la società: per questo è da sempre impegnato a far sì che gli sforzi orientati allo studio delle leggi fondamentali della natura e dell’universo si traducano anche in tecnologie migliori e più sostenibili a vantaggio dei cittadini e dell’ambiente. Proprio per condividere e valorizzare il contributo della scienza, l’INFN è stato tra i promotori dell’iniziativa dell’anno internazionale delle scienze di base per lo sviluppo sostenibile e ha sostenuto fin da subito l’iniziativa per il decennio delle scienze per lo sviluppo sostenibile 2024-2033, appena proclamato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ”, conclude Pallavicini.

La risoluzione delle Nazioni Unite, oltre che dall’Italia, è sostenuta da Andorra, Argentina, Armenia, Bangladesh, Bielorussia, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Cambogia, Cina, Croazia, Cuba, Cipro, Repubblica Dominicana, Egitto, Guinea Equatoriale, Guatemala, Grecia, Honduras, Ungheria, Indonesia, Italia, Kazakistan, Kenya, Kiribati, Kirghizistan, Lettonia, Lituania, Malesia, Maldive, Malta, Repubblica di Moldavia, Monaco , Montenegro, Marocco, Paesi Bassi, Pakistan, Perù, Filippine, Polonia, Portogallo, Federazione Russa, Senegal, Serbia, Singapore, Slovenia, Sudafrica, Spagna, Siria, Tagikistan, Tailandia, Timor Est, Turchia, Regno Unito, Repubblica Unita di Tanzania, Repubblica Bolivariana del Venezuela, Vietnam e Zimbabwe.

 

 

 

RADICI. NEL NUOVO PODCAST INFN, LA STORIA DELLA FISICA È RACCONTATA DAGLI STUDENTI

RADICI. NEL NUOVO PODCAST INFN, LA STORIA DELLA FISICA È RACCONTATA DAGLI STUDENTI

Dieci storie di scienziati e scienziate protagonisti della fisica italiana, raccontati in podcast da ragazzi e ragazze delle scuole superiori di tutta Italia: da oggi “Radici”, il nuovo podcast dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è disponibile su tutte le principali piattaforme di ascolto.

Edoardo Amaldi, Bruno Touschek, Giuseppe Occhialini, Bruno Rossi, Massimilla Baldo Ceolin, Tullio Regge, Nicola Cabibbo, Giorgio Parisi, Luciano Maiani e Fabiola Gianotti sono gli scienziati protagonisti dei podcast realizzati dagli studenti nell’ambito del concorso “Audioritratti di scienza”. I podcast sono affiancati dai racconti, dagli aneddoti e dai commenti di chi ha conosciuto di persona questi grandi della fisica, condividendo il percorso di ricerca e i traguardi scientifici, o ne ha studiato a fondo la vita e il contributo alla ricerca.

“Audioritratti di scienza” è un concorso ideato e lanciato dall’INFN in occasione della pubblicazione de La Mediateca INFN. La storia della fisica in video, un vasto archivio audiovisivo sulla storia della fisica italiana. Gli oltre 500 studenti e studentesse delle scuole secondarie di secondo grado che hanno partecipato al concorso hanno realizzato i podcast, della durata massima di cinque minuti, a partire dai materiali audiovisivi presenti su questo portale: un’occasione per conoscere un nuovo strumento alla scoperta storia della fisica italiana, ascoltando direttamente le voci dei suoi protagonisti.

I vincitori e le vincitrici del concorso hanno partecipato a un viaggio premio di due giorni ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, il più grande laboratorio sotterraneo al mondo dedicato allo studio della fisica astroparticellare, visitando le sue grandi sale, scoprendone i principali esperimenti, realizzando in prima persona esperienze sperimentali sui raggi cosmici, come dei veri ricercatori, hanno poi seguito seminari sulle onde gravitazionali al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, e si sono immersi nella storia dei Ragazzi di via Panisperna al Museo del Centro Ricerche Enrico Fermi di Roma. Alcuni fra i podcast in concorso giudicati particolarmente meritevoli sono stati poi selezionati per realizzare il podcast “Radici”.

La Mediateca INFN
Con l’obiettivo di valorizzare e condividere il patrimonio audiovisivo sulla storia della fisica italiana, il progetto de La Mediateca INFN è stato pubblicato nell’ambito delle celebrazioni per il 70° anniversario dell’INFN. È un portale dove scoprire di più sulla storia della fisica italiana dai racconti dei suoi protagonisti, e ripercorrere le principali tappe dell’avventura che ha reso l’INFN un istituto di eccellenza internazionale.
Dalle ricerche teoriche e sperimentali avviate negli anni ’30 da Enrico Fermi e dalla sua scuola, fino alla costruzione nel 1960 del primo anello di collisione al mondo, dalla fondazione del CERN fino alla scoperta dei bosoni W e Z e al premio Nobel a Carlo Rubbia: la storia della fisica fondamentale in Italia è ricca di eventi avvincenti. Per chi è curioso di scoprire e approfondire questi temi, La Mediateca INFN è il posto giusto. Chi ne ha necessità può richiedere i filmati di proprietà dell’INFN alla risoluzione originale.

 
RAGGI COSMICI: L’ESA SELEZIONA PER LA STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE SQM-ISS, PROPOSTA A GUIDA INFN

RAGGI COSMICI: L’ESA SELEZIONA PER LA STAZIONE SPAZIALE INTERNAZIONALE SQM-ISS, PROPOSTA A GUIDA INFN

Osservare nel flusso di raggi cosmici particelle massicce lente che possono essere state prodotte subito dopo il Big Bang o in processi astrofisici nella nostra Galassia: questo è l’obiettivo della proposta di esperimento SQM-ISS, che l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha selezionato come esperimento che potrà essere installato a bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).

La proposta SQM-ISS, Strange Quark Matter sulla International Space Station, è stata scelta tra oltre 20 progetti che l’ESA ha ricevuto nell’ambito del bando “Reserve pools of Science Activities for ISS: a SciSpacE Announcement of Opportunity”. Si tratta di una proposta a guida INFN, a cui ha lavorato una squadra internazionale di ricercatori e ricercatrici provenienti da Italia, Francia, Polonia e Svezia.

SQM-ISS si propone di realizzare un rivelatore compatto, composto da una pila di scintillatori e di lastre metalliche, dedicato all’osservazione diretta del passaggio della cosiddetta “materia strana”. L’esistenza della materia strana è stata proposta negli anni ’80: è un tipo di materia molto densa composta da un numero approssimativamente uguale di quark up, down e strange, a differenza della materia ordinaria, composta invece esclusivamente da quark up e down. Molti modelli di fisica nucleare all’interno del Modello Standard suggeriscono che la materia strana dovrebbe essere stabile e potrebbe essere stata prodotta nel Big Bang, costituire la materia oscura, o esistere all’interno di “stelle di quark strani”. Dovrebbe arrivare a noi sotto forma di particelle lente, ovvero con una velocità pari a circa 250 chilometri al secondo, e pesanti, in un intervallo molto ampio di massa e stato di carica. Per cercare di osservarla, lo stesso gruppo ha già costruito rivelatori satellitari o per la ISS, come gli esperimenti PAMELA e Mini-EUSO.

“Con SQM-ISS si cercherà di osservare il passaggio delle particelle di materia strana e di altre forme di materia lenta e penetrante accoppiando il rivelatore a un sistema in grado di misurare la velocità delle particelle, in un ambiente unico come quello della ISS, un ambiente di microgravità molto stabile, in cui non esiste il rumore sismico del suolo e si possono osservare le particelle prima che possano interagire o essere assorbite dall’atmosfera terrestre,” spiegano Marco Casolino e Laura Marcelli, ricercatori della sezione INFN di Roma Tor Vergata, e rispettivamente responsabile e vice-responsabile di SQM-ISS.

Ora SQM-ISS è in fase di valutazione da parte dell’INFN e dell’ASI Agenzia Spaziale Italiana.

Alla stesura della proposta SQM-ISS hanno partecipato ricercatrici e ricercatori della sezione INFN di Roma Tor Vergata (che coordina la proposta), dell’Università di Roma Tor Vergata, dell’Università di Ferrara, del Laboratorio di Astroparticelle e Cosmologia dell’IN2P3 di Parigi (APC), del Royal Institute of Technology di Stoccolma (KTH), dell’Università di Varsavia e del National Centre for Nuclear Research (NCBJ) di Varsavia.

 

Foto ©NASA

MUON g-2 RADDOPPIA LA PRECISIONE E SI PREPARA AL CONFRONTO FINALE CON LA TEORIA

MUON g-2 RADDOPPIA LA PRECISIONE E SI PREPARA AL CONFRONTO FINALE CON LA TEORIA

Una nuova e ancora più precisa misura di una particolare proprietà magnetica del muone, il cosiddetto momento magnetico anomalo, è stata presentata oggi, 10 agosto, nel corso di un seminario, dalla Collaborazione scientifica dell’esperimento Muon g-2 del Fermi National Accelerator Laboratory (FermiLab) di Batavia, vicino Chicago, Stati Uniti. La nuova misura di g, la più precisa ad oggi realizzata, rafforza e migliora di un fattore due la misura pubblicata nell’aprile 2021 dalla stessa Collaborazione, e pone in modo sempre più stringente previsioni teoriche e misure sperimentali davanti alla resa dei conti. Il lavoro viene presentato in dettaglio in un articolo sottomesso per la pubblicazione a Physical Review Letters dalla Collaborazione Muon g-2, di cui l’INFN è uno dei principali membri fin dagli inizi.

Il nuovo risultato sperimentale di Muon g-2, basato sui dati raccolti nei primi tre anni di attività sperimentale, è g-2 = 0,00233184110 +/- 0,00000000043 (incertezza statistica) +/- 0,00000000019 (incertezza sistematica), che corrisponde a una precisione di 0,20 parti per milione.

“Con questo aggiornamento della nostra misura stiamo davvero sondando un nuovo territorio e stiamo determinando il momento magnetico del muone con una precisione migliore di quanto non sia mai stato realizzato prima”, sottolinea Graziano Venanzoni, professore all’Università di Liverpool e ricercatore associato all’INFN, co-coordinatore internazionale della Collaborazione Muon g-2. “Questa misura – prosegue Venanzoni – ci porta oltre le precedenti sensibilità e conferma la tensione con la previsione teorica del 2020”. “Nei prossimi anni la Collaborazione Muon g-2 lavorerà per integrare nell’analisi tutti i dati raccolti nei sei anni di attività dell’esperimento, il valore che otterremo dovrà allora essere confrontato con il valore previsto dalla teoria, che è anch’esso in via di perfezionamento”.

La nuova misura sperimentale di g-2 è stata migliorata non solo grazie a un insieme di dati più ampio (sono stati considerati due anni di dati in più rispetto al risultato del 2021), ma anche dagli aggiornamenti tecnici apportati all’esperimento. “Abbiamo migliorato molti dettagli sperimentali tra il primo anno di acquisizione dati e il secondo e terzo anno – spiega Marco Incagli, ricercatore responsabile nazionale per l’INFN di Muon g-2 – e abbiamo così raggiunto l’obiettivo di ridurre l’incertezza causata da eventuali imperfezioni sperimentali, ossia quella nota come incertezza sistematica”.

La presa dati si è conclusa il 9 luglio 2023, quando la collaborazione ha spento il fascio di muoni che alimentava l’esperimento, concludendo così l’attività scientifica di Muon g-2 dopo sei anni di raccolta dati, e dopo aver raggiunto l’obiettivo di raccogliere un insieme di dati di oltre 21 volte maggiore rispetto a quello raccolto dal precedente esperimento condotto nel laboratorio di Brookhaven. Ma, mentre l’incertezza sistematica totale ha già superato l’obiettivo di progettazione, l’aspetto più ampio che contribuisce all’incertezza, ossia l’incertezza statistica (determinata dalla quantità di dati analizzati), sarà migliorata solo una volta incorporati nell’analisi tutti i dati prodotti e raccolti nei sei anni di attività, un obiettivo che la Collaborazione Muon g-2 mira a completare nei prossimi due anni.

 

PER APPROFONDIRE

Tra previsione teorica e dati sperimentali. Il funzionamento dell’universo al suo livello più fondamentale è descritto da una teoria nota come Modello Standard delle particelle elementari: facendo previsioni basate su questa teoria e confrontandole con i risultati sperimentali, è possibile verificare la sua completezza o se vi siano margini per scoprire una nuova fisica oltre il Modello Standard. I muoni, particelle elementari previste dal Modello Standard, simili agli elettroni ma circa 200 volte più massicce, hanno, come gli stessi elettroni, un minuscolo magnete interno che, in presenza di un campo magnetico, precede od oscilla come l’asse di una trottola. La velocità di precessione, in un dato campo magnetico, dipende proprio dal valore del momento magnetico g. La teoria del Modello Standard prevede con grande precisione il valore di g, che dovrebbe essere leggermente diverso da 2.

Il nuovo risultato di Muon g-2 si conferma in tensione con la previsione teorica che era stata presentata nel 2020 dalla Muon g-2 Theory Initiative, un progetto fondato per mettere assieme la comunità mondiale della fisica teorica che lavora alla determinazione dell’anomalia magnetica del muone con l’obiettivo di ricavare nell’ambito del Modello Standard un unico valore teorico condiviso che possa essere messo a confronto con il valore ricavato dai dati sperimentali. Alla luce delle nuove misure sperimentali che alimentano i calcoli delle previsioni teoriche, e di un nuovo calcolo basato su un diverso approccio teorico – la teoria di gauge su reticolo – gli scienziati della Muon g-2 Theory Initiative stanno lavorando per affinare la loro previsione, con l’obiettivo di fornirne, entro i prossimi due anni, una migliorata, che tenga conto anche di entrambi gli approcci teorici.

La differenza di g da 2 (ossia g-2) può essere attribuita alle interazioni del muone con le particelle in una “schiuma” quantistica che lo circonda. Queste particelle “fluttuano” in continuazione tra lo stato di esistenza e non esistenza, cambiando così il modo in cui il muone interagisce con il campo magnetico. Il calcolo del valore di g-2 è molto impegnativo. Il Modello Standard prevede come cambia g in questa schiuma quantistica, in considerazione di tutte le forze e le particelle note: i calcoli teorici considerano forze elettromagnetiche, nucleari deboli e nucleari forti, fotoni, elettroni, quark, gluoni, neutrini, bosoni W e Z e bosone di Higgs. Se il Modello Standard è corretto e se il calcolo di g-2 sulla base del Modello Standard lo è altrettanto, allora a questa previsione deve corrispondere la misura sperimentale. Il fatto che il valore di g misurato sperimentalmente si discosti da quello previsto teoricamente potrebbe perciò essere indicazione dell’esistenza di particelle non ancora note che, appunto, contribuiscono a determinare il valore di g-2.

Come funziona l’esperimento. I muoni, che sono generati naturalmente nell’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera terrestre, possono essere prodotti in gran numero dall’acceleratore del Fermilab e iniettati all’interno dell’anello di accumulazione magnetico di Muon g-2, del diametro di 15 metri, dove vengono fatti circolare migliaia di volte con velocità prossima a quella della luce. Come gli elettroni, anche i muoni sono dotati di spin e possiedono un momento magnetico, ovvero producono un campo magnetico del tutto analogo a quello di un ago di bussola. All’interno dell’anello di Muon g-2, il momento magnetico dei muoni acquista un moto di precessione attorno alla direzione del campo magnetico, analogo a quello di una trottola in rotazione. L’esperimento misura con altissima precisione la frequenza di questo moto di precessione dei muoni. Il Modello Standard prevede che per ogni particella il valore del momento magnetico sia proporzionale a un certo numero, detto ‘fattore giromagnetico g’, e che il suo valore sia leggermente diverso da 2, da qui il nome ‘g-2’ o ‘anomalia giromagnetica’ dato a questo tipo di misura. Il risultato di Muon g-2 evidenzia una differenza tra il valore misurato di ‘g-2’ per i muoni e quello previsto dal Modello Standard, la cui previsione si basa sul calcolo delle interazioni dei muoni con particelle “virtuali” che si formano e si annichilano continuamente nel vuoto che li circonda. La discrepanza tra il risultato sperimentale e il calcolo teorico potrebbe quindi essere dovuta a particelle e interazioni sconosciute di cui il Modello Standard non tiene conto.

La Collaborazione scientifica internazionale Muon g-2. comprende quasi 181 scienziati e scienziate provenienti da 33 istituzioni in sette paesi. L’esperimento Muon g-2 è supportato dal Department of Energy (USA), dalla National Science Foundation (USA), dall’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Italy), dallo Science and Technology Facilities Council (UK), dalla Royal Society (UK), dal programma europeo Horizon 2020, dalla National Natural Science Foundation of China, da MSIP, NRF e IBS-R017-D1 (Repubblica della Corea) e dalla German Research Foundation (DFG).

 

 Video

Il risultato del 2021 di Muon g-2

LETTURE

Precisamente anomalo
La misura del momento magnetico del muone
di Luca Trentadue
in Asimmetrie 23 Muone

Una vita da mediano
Storia della più elegante, eclettica e robusta tra le particelle
di Filippo Ceradini
in Asimmetrie 23 Muone

Un mare di antimateria
L’equazione di Dirac, dalla meccanica quantistica al modello standard
di Graziano Venanzoni
in Asimmetrie 19 Equazioni

RADICI. NEL NUOVO PODCAST INFN, LA STORIA DELLA FISICA È RACCONTATA DAGLI STUDENTI

RADICI. NEL NUOVO PODCAST INFN, LA STORIA DELLA FISICA È RACCONTATA DAGLI STUDENTI

Dieci storie di scienziati e scienziate protagonisti della fisica italiana, raccontati in podcast da ragazzi e ragazze delle scuole superiori di tutta Italia: da oggi “Radici”, il nuovo podcast dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è disponibile su tutte le principali piattaforme di ascolto.

Edoardo Amaldi, Bruno Touschek, Giuseppe Occhialini, Bruno Rossi, Massimilla Baldo Ceolin, Tullio Regge, Nicola Cabibbo, Giorgio Parisi, Luciano Maiani e Fabiola Gianotti sono gli scienziati protagonisti dei podcast realizzati dagli studenti nell’ambito del concorso “Audioritratti di scienza”. I podcast sono affiancati dai racconti, dagli aneddoti e dai commenti di chi ha conosciuto di persona questi grandi della fisica, condividendo il percorso di ricerca e i traguardi scientifici, o ne ha studiato a fondo la vita e il contributo alla ricerca.

“Audioritratti di scienza” è un concorso ideato e lanciato dall’INFN in occasione della pubblicazione de La Mediateca INFN. La storia della fisica in video, un vasto archivio audiovisivo sulla storia della fisica italiana. Gli oltre 500 studenti e studentesse delle scuole secondarie di secondo grado che hanno partecipato al concorso hanno realizzato i podcast, della durata massima di cinque minuti, a partire dai materiali audiovisivi presenti su questo portale: un’occasione per conoscere un nuovo strumento alla scoperta storia della fisica italiana, ascoltando direttamente le voci dei suoi protagonisti.

I vincitori e le vincitrici del concorso hanno partecipato a un viaggio premio di due giorni ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, il più grande laboratorio sotterraneo al mondo dedicato allo studio della fisica astroparticellare, visitando le sue grandi sale, scoprendone i principali esperimenti, realizzando in prima persona esperienze sperimentali sui raggi cosmici, come dei veri ricercatori, hanno poi seguito seminari sulle onde gravitazionali al Gran Sasso Science Institute dell’Aquila, e si sono immersi nella storia dei Ragazzi di via Panisperna al Museo del Centro Ricerche Enrico Fermi di Roma. Alcuni fra i podcast in concorso giudicati particolarmente meritevoli sono stati poi selezionati per realizzare il podcast “Radici”.

La Mediateca INFN
Con l’obiettivo di valorizzare e condividere il patrimonio audiovisivo sulla storia della fisica italiana, il progetto de La Mediateca INFN è stato pubblicato nell’ambito delle celebrazioni per il 70° anniversario dell’INFN. È un portale dove scoprire di più sulla storia della fisica italiana dai racconti dei suoi protagonisti, e ripercorrere le principali tappe dell’avventura che ha reso l’INFN un istituto di eccellenza internazionale.
Dalle ricerche teoriche e sperimentali avviate negli anni ’30 da Enrico Fermi e dalla sua scuola, fino alla costruzione nel 1960 del primo anello di collisione al mondo, dalla fondazione del CERN fino alla scoperta dei bosoni W e Z e al premio Nobel a Carlo Rubbia: la storia della fisica fondamentale in Italia è ricca di eventi avvincenti. Per chi è curioso di scoprire e approfondire questi temi, La Mediateca INFN è il posto giusto. Chi ne ha necessità può richiedere i filmati di proprietà dell’INFN alla risoluzione originale.

 
ZEPRION: IN ORBITA PER SVILUPPARE NUOVI FARMACI

ZEPRION: IN ORBITA PER SVILUPPARE NUOVI FARMACI

Un esperimento lanciato con successo oggi, mercoledì 2 agosto, verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), potrebbe portare ad una validazione del meccanismo di funzionamento di un protocollo del tutto innovativo per lo sviluppo di nuovi farmaci contro gravi malattie neurodegenerative e non solo. Frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge diversi istituti accademici e l’azienda israeliana SpacePharma, l’esperimento ZePrion vede un fondamentale contributo dell’Italia attraverso l’Università Milano-Bicocca, l’Università di Trento, la Fondazione Telethon, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), e l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ibba). Decollato con la missione spaziale robotica di rifornimento NG-19 dalla base di Wallops Island, in Virginia (USA), ZePrion si propone di sfruttare le condizioni di microgravità presenti in orbita per verificare la possibilità di indurre la distruzione di specifiche proteine nella cellula, interferendo con il loro naturale meccanismo di ripiegamento (folding proteico). L’arrivo di NG-19 e Zeprion sulla ISS è previsto per venerdì 4 agosto, quando in Italia saranno all’incirca le 8:00.

Il successo dell’esperimento ZePrion fornirebbe un possibile modo per confermare il meccanismo molecolare alla base di una nuova tecnologia di ricerca farmacologica denominata Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting (PPI-FIT), sviluppata da due ricercatori delle Università Milano-Bicocca e di Trento e dell’INFN. L’approccio PPI-FIT si basa sull’identificazione di piccole molecole (dette ligandi), in grado di unirsi alla proteina che costituisce il bersaglio farmacologico durante il suo processo di ripiegamento spontaneo, evitando così che questa raggiunga la sua forma finale.

“La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici apre la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili”, spiega Pietro Faccioli, professore dell’Università Milano-Bicocca, ricercatore dell’INFN, coordinatore dell’esperimento e co-inventore della tecnologia PPI-FIT.

Un tassello finora mancante per la validazione della tecnologia è la possibilità di ottenere un’immagine ad alta risoluzione del legame tra le piccole molecole terapeutiche e le forme intermedie delle proteine bersaglio (quelle che si manifestano durante il ripiegamento), in grado di confermare in maniera definitiva l’interruzione del processo di ripiegamento stesso. In genere, questo tipo di immagine viene ottenuta analizzando con una tecnica chiamata cristallografia a raggi X cristalli formati dal complesso ligando-proteina. Nel caso degli intermedi proteici, però, gli esperimenti necessari non sono realizzabili all’interno dei laboratori sulla Terra, in quanto la gravità genera effetti che interferiscono con la formazione dei cristalli dei corpuscoli composti da ligando e proteina, quando questa non abbia ancora raggiunto la sua forma definitiva. Questo ha spinto le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione ZePrion a sfruttare la condizione di microgravità che la Stazione Spaziale Internazionale mette a disposizione.

“Esiste infatti chiara evidenza che la microgravità presente in orbita fornisca condizioni ideali per la creazione di cristalli di proteine”, illustra Emiliano Biasini, biochimico dell’Università di Trento e altro co-inventore di PPI-FIT, “ma nessun esperimento ha provato fino ad ora a generare cristalli di complessi proteina-ligando in cui la proteina non si trovi in uno stato definitivo”. Esattamente quanto si propone di fare l’esperimento ZePrion, lavorando in modo specifico sulla proteina prionica, balzata tristemente agli onori della cronaca negli anni Novanta durante la crisi del ‘morbo della mucca pazza’. Questa malattia è infatti causata da una forma alterata della proteina prionica chiamata prione, coinvolta in gravi malattie neurodegenerative dette appunto ‘da prioni’ tra le quali la malattia di Creutzfelt-Jakob o l’insonnia fatale familiare.

“Anche grazie al sostegno di Fondazione Telethon, che da sempre supporta le mie ricerche per individuare nuove terapie contro queste malattie, abbiamo l’opportunità di validare del meccanismo di funzionamento della tecnologia PPI-FIT, che potrebbe rappresentare veramente un punto di svolta in questo settore”, aggiunge Biasini.

“In orbita sarà possibile generare cristalli formati da complessi tra una piccola molecola e una forma intermedia della proteina prionica, che in condizioni di gravità ‘normale’ non sarebbero stabili. Questi cristalli potranno poi essere analizzati utilizzando la radiazione X prodotta con acceleratori di particelle, per fornire una fotografia tridimensionale del complesso con un dettaglio di risoluzione atomico. Campioni non cristallini ottenuti alla SSI verranno inoltre analizzati per Cryo-microscopia Elettronica di trasmissione (Cryo/EM)”, sottolinea Pietro Roversi, ricercatore Cnr-Ibba.

ZePrion si compone di un vero e proprio laboratorio biochimico in miniatura (lab-in-a-box) realizzato da SpacePharma, che opererà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e verrà controllato da remoto. Oltre alla componente italiana, la collaborazione ZePrion si avvale della partecipazione delle scienziate e degli scienziati dell’Università di Santiago di Compostela.

EUCLID HA APERTO GLI OCCHI SULL’UNIVERSO ANCORA SCONOSCIUTO

EUCLID HA APERTO GLI OCCHI SULL’UNIVERSO ANCORA SCONOSCIUTO

Sono arrivate sulla Terra le prime immagini del telescopio spaziale europeo Euclid. Talmente incredibili per la loro nitidezza che alcuni scienziati le hanno definite “immagini ipnotizzanti”. A riprenderle sono stati i due strumenti, con forte contributo italiano, appena accesi: VIS (VISible Instrument) e NISP (Near Infrared Spectrometer Photometer) che sono ancora in fase di calibrazione. Alla loro realizzazione hanno giocato un ruolo importante a livello continentale, l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN)

Anche se mancano un paio di mesi prima che Euclid cominci a fornire la sua vera nuova visione del cosmo, il raggiungimento di questo traguardo mostra che gli scienziati e gli ingegneri sono fiduciosi che il telescopio ed i suoi strumenti funzionino bene. Gli ottimi risultati fin qui ottenuti, indicano che il telescopio spaziale raggiungerà gli obiettivi scientifici per cui è stato progettato, e forse molto di più.

“Dopo più di 11 anni di progettazione e sviluppo di Euclid, è esaltante ed estremamente emozionante vedere queste prime immagini”, afferma Giuseppe Racca, project manager di Euclid per l’Agenzia Spaziale Europea (ESA). “È ancora più incredibile se pensiamo di vedere solo poche galassie qui, prodotte con una messa a punto minima del sistema. Euclid, una volta calibrato completamente, osserverà miliardi di galassie per creare la più grande mappa 3D del cielo mai vista prima”.

“Le immagini degli strumenti VIS e NISP diffuse oggi dimostrano la bontà della catena di acquisizione della luce raccolta nel campo di vista del telescopio di Euclid. – riferisce Mario Salatti, responsabile per ASI della realizzazione del contributo italiano agli strumenti scientifici a bordo del satellite Euclid – Il team industriale coinvolto nella costruzione del cuore delle unità elettroniche dei due strumenti VIS e NISP e il team scientifico che ne ha sviluppato il software guardano con grande soddisfazione alla qualità di queste immagini da cui viene confermato il raggiungimento delle specifiche di progetto”.

Lo strumento VISible di Euclid (VIS) scatterà immagini super nitide di miliardi di galassie per misurarne le forme. Già dalla prima immagine si intravede la capacità che avrà il VIS; mentre alcune galassie sono molto facili da individuare, molte altre sono macchie sfocate nascoste tra le stelle, in attesa di essere svelate da Euclid in futuro. Sebbene l’immagine sia ricca di dettagli, l’area di cielo che copre è in realtà solo circa un quarto della larghezza e dell’altezza della Luna piena.

“Accendere uno strumento spaziale è un’esperienza unica: quando tutto era pronto, abbiamo inviato al satellite il comando di power-on e letteralmente abbiamo smesso di respirare fino a che, qualche secondo dopo, non abbiamo visto i primi dati di telemetria scorrere sullo schermo, riportando lo stato dello strumento in funzione. L’emozione è stata tanta e tra applausi e abbracci, ci siamo rimessi subito tutti al lavoro, consapevoli che questo è solo l’inizio dell’avventura” racconta Anna Di Giorgio dell’INAF, che coordina le attività italiane per la missione Euclid finanziate dall’ASI e ha partecipato, insieme ad altri ricercatori INAF e INFN, al collaudo dei due strumenti presso il centro di controllo dell’ESA. “Altro momento critico è stato quello dell’accensione dei rivelatori e l’acquisizione dei primi dati, seguito dalla meraviglia di poter finalmente vedere delle immagini vere e non simulate. Certo ci sono stati degli imprevisti (senza i quali che avventura sarebbe?), come la scoperta di un fondo inaspettato di luce diffusa, che alla fine hanno dato all’intera squadra l’opportunità di lavorare se possibile in modo ancora più coeso e motivato. Anche in questi casi la professionalità del personale italiano, sia i ricercatori che il team industriale, ha contribuito in modo decisivo a tenere la situazione sotto controllo e a definire possibili strategie risolutive.”

Lo strumento NISP (Near-Infrared Spectrometer and Photometer) di Euclid ha un duplice ruolo: fotografare le galassie nella luce infrarossa e misurare la quantità di luce che le galassie emettono a varie lunghezze d’onda. Questo secondo ruolo ci permette di capire direttamente quanto è lontana ogni galassia.

“Euclid rappresenta la prima missione del suo tipo a cui l’INFN contribuisce, e siamo molto soddisfatti per questo iniziale importante passo, reso possibile anche grazie al ruolo svolto dall’INFN, e che dimostra la capacità di Euclid di realizzare quanto si è prefisso: una mappa estesa dell’Universo, che sarà in grado di fornire decisive misure anche in quei settori in cui l’INFN è maggiormente coinvolto, come la fisica dei neutrini, andando a complementare le ricerche in questo ambito svolte in laboratorio”, aggiunge Luca Stanco, ricercatore INFN della sezione di Padova e responsabile della missione Euclid per l’INFN.

Combinando le informazioni sulla distanza con quelle sulle forme delle galassie misurate dal VIS, saremo in grado di mappare come le galassie sono distribuite nell’Universo e come questa distribuzione cambia nel tempo. In definitiva, questa mappa 3D ci porterà a comprendere meglio la materia oscura (che interagisce gravitazionalmente con la materia ordinaria) e l’energia oscura (che causa l’attuale accelerazione dell’espansione dell’Universo).

In Euclid sono coinvolti oltre duecento scienziate e scienziati italiani, appartenenti all’ASI, all’INAF, all’INFN e a numerose università, in primo luogo l’Università di Bologna e poi Università di Ferrara, Università di Genova, Università Statale di Milano, Università di Roma Tre, Università di Trieste, SISSA e CISAS.

Nei prossimi mesi, l’ESA continuerà a svolgere tutti i test e i controlli necessari per garantire che Euclid funzioni nel miglior modo possibile. Al termine di questa “fase di messa in servizio”, inizierà la vera scienza. A quel punto l’ESA rilascerà una nuova serie di immagini che mostreranno le straordinarie capacità della missione.