BUCHI NERI: QUALE DESTINO DOPO LA LORO EVAPORAZIONE?

BUCHI NERI: QUALE DESTINO DOPO LA LORO EVAPORAZIONE?

Il destino dei buchi neri potrebbe essere quello di evaporare fino a dischiudere le singolarità gravitazionali altrimenti celate dall’inviolabile barriera rappresentata dall’orizzonte degli eventi, oppure assumere una forma stabile e paragonabile ai più suggestivi oggetti previsti dalla Relatività Generale di Einstein, i wormholes. È questa una delle conclusioni a cui è giunto uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), in collaborazione con una collega del Niels Bohr Institute danese, che, attraverso complesse simulazioni numeriche, ha esplorato per la prima volta, nell’ambito di una teoria della relatività generale modificata, i possibili esiti finali dell’evaporazione dei buchi neri, fenomeno previsto dal celebre fisico teorico Stephen Hawking. Il risultato, pubblicato sulla rivista Physical Review Letter, mette in evidenza l’importanza delle simulazioni numeriche (numerical relativity) per fornire nuove spiegazioni sul destino dei buchi neri, suggerendo al tempo stesso la possibilità di nuovi candidati di materia oscura formatisi alla fine della loro evaporazione nei primi istanti dell’universo.

Sebbene il regime di campo gravitazionale forte che li contraddistingue non consenta né alla materia, né alla luce, di liberarsi dalla loro oscura morsa, i buchi neri, a causa di effetti quantistici, evaporano emettendo radiazione termica in maniera continua. Descritta nel 1974 da Stephen Hawking, questa evaporazione comporterebbe il restringimento dell’orizzonte degli eventi di un buco nero, un processo non ancora osservato, il cui stadio finale rappresenta a sua volta uno dei grandi misteri della fisica teorica. La dissoluzione del buco nero potrebbe infatti non costituire l’unico esito possibile dell’evaporazione, che potrebbe cambiare drasticamente a seconda delle condizioni gravitazionali durante il processo.

“La riduzione di un buco nero”, spiega Fabrizio Corelli, ricercatore del Dipartimento di Fisica della Sapienza associato INFN e primo autore dello studio, “potrebbe comportare l’avvicinarsi dell’orizzonte degli eventi verso la singolarità gravitazionale presente al suo interno, e quindi verso regioni dello spaziotempo di curvatura sempre maggiore. È quindi inevitabile che, durante l’evaporazione di Hawking, effetti gravitazionali legati all’alta curvatura dello spaziotempo diverrebbero via via sempre più rilevanti, al punto da modificare lo stadio finale dell’evaporazione. Proprio per questo è particolarmente interessante studiare questi fenomeni in una teoria di gravità modificata come quella da noi considerata.”

Imponendo le opportune correzioni alla Relatività Generale e facendo ricorso a complesse simulazioni numeriche, i ricercatori sono stati perciò in grado di ottenere per la prima volta alcuni possibili stati finali per il processo di evaporazione dei buchi neri. Tra i risultati discussi nell’articolo apparso su Physical Review Letter, c’è quello che suggerisce la comparsa di singolarità al di fuori dei loro orizzonti degli eventi. Scenario che si pone tuttavia in contrasto con il cosiddetto principio di “censura cosmica” di Roger Penrose, il quale ipotizza come la singolarità debba essere relegata all’interno del buco nero e non possa essere in comunicazione diretta con l’esterno. Una seconda alternativa riguarda invece la trasformazione dei buchi neri in wormholes, strutture capaci di collegare punti diversi dello spaziotempo, previste sulla base di alcune soluzioni esotiche delle equazioni della Relatività Generale, ma finora mai osservate, le cui caratteristiche potrebbero consentire di spiegare l’ancora sfuggente natura della materia oscura. 

“I risultati di questo studio – conclude Paolo Pani del Dipartimento di Fisica della Sapienza e ricercatore INFN – mostrano che l’evaporazione di un buco nero in teorie con correzioni ad alta curvatura alla Relatività Generale potrebbe violare la censura cosmica. Le simulazioni evidenziano infatti come durante il processo di evaporazione le singolarità potrebbero uscire dal buco nero. Se confermato, questo implicherebbe la necessità di una teoria quantistica della gravitazione per spiegare il destino dei buchi neri. È comunque possibile che il destino dell’evaporazione di Hawking sia la formazione di un wormhole, un oggetto senza singolarità e senza orizzonte degli eventi che non evapora ulteriormente, rispettando così la congettura di Penrose. Se confermato, in questo scenario i buchi neri primordiali, formati nei primi istanti dell’universo, evaporerebbero fino a raggiungere una configurazione stabile, diventando così dei perfetti candidati per spiegare la materia oscura”.

Image Credits: NASA, ESA, and D. Coe, J. Anderson, and R. van der Marel (STScI)

IL MINISTRO BERNINI IN VISITA AL CERN

IL MINISTRO BERNINI IN VISITA AL CERN

Il Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini si è recata il 27 febbraio in visita al CERN, il più grande e importante laboratorio di fisica delle particelle al mondo, dove nel 2012 è stato scoperto il bosone di Higgs, solo l’ultimo dei molti storici successi scientifici qui realizzati, e dove c’è tanta Italia, grazie al lavoro delle moltissime e dei moltissimi connazionali, ricercatori, ingegneri, tecnici, che provengono dalle università italiane e dall’INFN, che coordina la partecipazione dell’Italia al grande centro europeo.

“Mi piace ricordare che è possibile lavorare per l’Italia anche fuori dal nostro Paese, – sottolinea il Ministro Anna Maria Bernini – come Governo stiamo lavorando per costruire una rete positiva di scambio che ci aiuti a migliorare il sistema italiano e che rafforzi il nostro contributo alla ricerca internazionale”. “Il PNRR – prosegue Bernini – è lo strumento fondamentale per attrarre ricercatori in Italia ma anche per rafforzare la rete di scambio, per migliorare le nostre università, per far crescere la nostra competitività industriale, contribuendo allo sviluppo e al progresso del Paese”.

Il Ministro Bernini, accompagnata dalla delegazione italiana e dal presidente dell’INFN Antonio Zoccoli, è stata accolta dal direttore generale del CERN Fabiola Gianotti, e dagli altri rappresentanti scientifici e istituzionali, nel laboratorio dove si stanno mettendo a punto i nuovi magneti superconduttori per High Luminosity LHC, il progetto per il potenziamento di LHC che è previsto entrare in funzione nel 2029. La visita del Ministro è proseguita all’esperimento ATLAS, protagonista assieme a CMS della scoperta del bosone di Higgs, e successivamente nel tunnel di LHC, per concludersi al Globe, dove il Ministro ha incontrato la comunità italiana.

“È stato un onore accogliere oggi il Ministro Anna Maria Bernini al CERN, – commenta Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN – e un piacere accompagnarla in visita in questo straordinario centro di ricerca, un posto unico al mondo, un laboratorio che è anche italiano. Qui l’Italia, con l’INFN, le sue ricercatrici e i suoi ricercatori, tra cui moltissimi giovani, è di casa fin dalla sua fondazione nel 1954. Il nostro Paese è sempre stato protagonista della storia del CERN e si è sempre distinto per il contributo di altissimo livello, scientifico e manageriale, che ha saputo portare al laboratorio stesso e a tutti i suoi principali progetti scientifici”. “La visita del Ministro – prosegue Zoccoli – è un gesto molto significativo per il CERN e in particolare per la comunità italiana che qui è impegnata a fare della ricerca scientifica un’eccellenza: riconosce l’importanza del contributo che portiamo al CERN e anche del ruolo chiave della ricerca di base per l’innovazione, il progresso, e la società”. “Ringraziamo dunque il Ministro per l’interesse dimostrato verso il nostro lavoro e i nostri laboratori, dove produciamo nuova conoscenza e innovazione tecnologica, dove i nostri giovani hanno l’opportunità di crescere e formarsi, contribuendo ai più grandi progetti scientifici e collaborando con colleghe e colleghi di tutto il mondo. Continueremo a fare scuola con la nostra esperienza e le nostre competenze, continueremo a studiare, a scoprire, a innovare, con senso di responsabilità verso la società e verso futuro”, conclude Zoccoli.

Il contributo dell’Italia al budget del CERN è pari a oltre il 10%, e gli utenti italiani del CERN sono oltre duemila.

 

 

 

 

 

 

HL-LHC: CONSEGNATI AL CERN I MAGNETI CORRETTORI DI ALTO ORDINE

HL-LHC: CONSEGNATI AL CERN I MAGNETI CORRETTORI DI ALTO ORDINE

HLC-HL: HIGH-ORDER CORRECTOR MAGNETS DELIVERED TO CERN

Sono stati consegnati al CERN i magneti correttori di alto ordine (HOCM) per High-Luminosity LHC, il progetto per il potenziamento del superacceleratore Large Hadron Collider, previsto entrare in funzione nel 2029. Gli HOCM, che sono così i primi apparati della futura macchina a concludere la produzione di serie, saranno cruciali per incrementare le prestazioni di LHC: dovranno, infatti, garantire le correzioni di campo magnetico necessarie per il funzionamento dei magneti responsabili della focalizzazione e della separazione dei fasci di protoni prima e dopo le loro interazioni in corrispondenza degli esperimenti ATLAS e CMS. È stato così raggiunto un primo fondamentale traguardo verso HL-LHC, grazie al centrale contributo dell’INFN che attraverso il Laboratorio di Acceleratori e Superconduttività Applicata (LASA) è stato impegnato nella realizzazione degli HOCM sin dalle sue fasi iniziali di sviluppo e prototipazione. 

Oltre allo sviluppo e alla realizzazione di 5 diverse tipologie di HOCM, il LASA, in collaborazione con il CERN, ha testato il funzionamento dei magneti presso la propria facility, accertando la conformità di tutti i prototipi alle specifiche di performance richieste in termini di qualità del campo magnetico generato e capacità di raffreddamento. Ciò ha consentito di dare il via alle produzioni in serie dei 54 HOCM.

Rispetto ai magneti completati in questa prima fase, l’INFN è stato inoltre responsabile della qualificazione e del controllo di tutti i passaggi richiesti per la produzione, affidata all’azienda italiana SAES RIAL Vacuum (SRV). I successivi test e le qualifiche sui magneti realizzati sono stati effettuati presso il laboratorio LASA e al CERN, dove i magneti sono infine giunti per l’integrazione. L’ultimo magnete è stato inviato al CERN il 17 febbraio 2023, rispettando la programmazione del progetto.

“Il completamento con successo del progetto HOCM è un risultato significativo per High-Luminosity LHC e non sarebbe stato possibile senza la stretta collaborazione tra mondo scientifico e industria”, sottolinea Lucio Rossi, già responsabile di HL-LHC e oggi coordinatore del Comitato INFN-Acceleratori. “Questo progetto – prosegue Rossi – è stato, infatti, frutto di un intenso e coordinato lavoro tra l’INFN, il CERN e i partner industriali, e il successo della consegna nei tempi di tutti i 54 magneti è una testimonianza della dedizione e dell’esperienza di tutte le persone coinvolte”.

“I team di SAES RIAL Vacuum e di SAES Getters”, commenta Paolo Manini, responsabile del contratto HOCM per SAES, “hanno lavorato a stretto contatto con l’INFN e il CERN per costruire e assemblare gli HOCM, assicurandosi che fossero conformi alle specifiche e agli standard di qualità richiesti. Questo progetto ha richiesto un alto livello di precisione e competenza e sono grato al nostro gruppo per il duro lavoro e la dedizione. Sono estremamente orgoglioso del successo della nostra collaborazione con l’INFN e il CERN. Il completamento di questo progetto non solo segna una pietra miliare significativa per il progetto HL-LHC, ma ci ha anche permesso di sviluppare know-how e di espandere la nostra attività nel campo dei magneti superconduttori”.

“Mi ritengo fortunato e sono fiero per avere guidato questo progetto e di aver lavorato al fianco di tanti talenti del settore”, commenta Marco Statera, ricercatore INFN della Sezione di Milano coordinatore del progetto HOCM. “Ora sono impaziente di vedere realizzato il progetto HL-LHC e i molti altri importanti sviluppi che porterà nel campo della fisica degli acceleratori. Il risultato che abbiamo raggiunto testimonia che la collaborazione tra partner scientifici e industriali nel perseguire un obiettivo comune è motore di innovazione e progresso, che molto spesso si spinge ben oltre l’ambito della ricerca scientifica”.

“È particolarmente degno di nota il fatto che la produzione di tutti i 54 magneti sia stata completata entro i tempi previsti, siamo grati a tutti coloro che hanno contribuito a questa impresa”, commenta Oliver Brunig, responsabile del progetto HL-LHC. “E siamo anche molto soddisfatti che il progetto HOCM abbia aperto per la SAES nuove opportunità commerciali nel settore dei magneti superconduttori: questo evidenzia, ancora una volta, il potenziale di trasferimento tecnologico e i benefici economici che derivano dalla ricerca scientifica di base”.

TUMORI: FIRE, INNOVATIVO DOSIMETRO PER LA PROTONTERAPIA, SUPERA I PRIMI TEST

TUMORI: FIRE, INNOVATIVO DOSIMETRO PER LA PROTONTERAPIA, SUPERA I PRIMI TEST

Si è chiusa con un successo l’attività di ricerca e sviluppo condotta nell’ambito di FIRE, progetto dedicato allo sviluppo di rivelatori innovativi a supporto delle terapie radioterapiche finanziato dall’INFN, che ha visto la collaborazione, insieme allo stesso INFN, dell’Istituto per la microelettronica e i microsistemi (IMM) e dell’Istituto superconduttori materiali innovativi e dispositivi (SPIN) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), e delle Università di Bologna, Federico II di Napoli, Roma Tre, Padova e Trento. Il lavoro svolto dai ricercatori ha infatti consentito di sviluppare un rivelatore di protoni flessibile ed economico, la cui efficacia nel monitorare la dose di radiazione incidente è stata testata su fantoccio al laboratorio LABEC dell’INFN a Firenze. I risultati della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista Nature, all’interno della serie NPJ Flexible Electronics. Se anche futuri trial clinici condotti su pazienti dovessero dare esito positivo, il dosimetro, realizzato interamente con materiale organico, consentirà di misurare in tempo reale la quantità di radiazioni rilasciata sulle cellule tumorali dai fasci di protoni impiegati in radioterapia, massimizzando l’effetto e riducendo eventuali effetti indesiderati delle terapie.

In caso di tumori al retto o alla prostata la radioterapia con fasci di fotoni o di particelle cariche di alta energia viene comunemente utilizzata in combinazione con la chemioterapia, prima e a volte anche dopo l’intervento chirurgico, con grande efficacia. In particolare, nel caso della protonterapia, un fascio di protoni viene indirizzato sul tumore con lo scopo di danneggiare il DNA delle cellule tumorali impedendone la replicazione. Un aspetto cruciale dei piani di terapia è il controllo della dose della radiazione utilizzata, che deve essere sufficiente a distruggere le cellule tumorali, ma non così elevata da danneggiare i tessuti sani vicini alla regione trattata. È perciò di fondamentale importanza monitorare la quantità di protoni somministrata al paziente in tempo reale. 

Grazie alle sue dimensioni ridotte e alla sua flessibilità, che ne rendono estremamente semplice l’applicazione su ogni parte del corpo, il rivelatore di protoni FIRE potrà essere utilizzato in ambiti diversi, che si estendono dalla dosimetria medica fino alle applicazioni spaziali. “Nel lavoro pubblicato”, spiega Beatrice Fraboni, ricercatrice INFN e docente dell’Università di Bologna, responsabile nazionale del progetto FIRE, “ci siamo concentrati sul monitoraggio in tempo reale delle dosi di radiazione incidenti durante le sessioni di protonterapia su tessuti malati e sui tessuti sani limitrofi. Dati che risultano cruciali per la corretta calibrazione del trattamento terapeutico e per

preservare la funzionalità di organi limitrofi al tumore, basti pensare ai casi di trattamento tramite protoni del tumore alla prostata, in cui organi limitrofi come il retto possono risultare seriamente danneggiati. Le caratteristiche del rivelatore si adattano inoltre a un suo futuro impiego nello spazio,

dove potranno essere monitorate le dosi di radiazioni cosmiche dannose assorbite dagli astronauti”, conclude Fraboni.

“Il dispositivo è stato realizzato utilizzando materiali completamente organici, cioè per lo più a base di carbonio, idrogeno e ossigeno”, spiega Paolo Branchini, ricercatore INFN, che insieme al gruppo del CNR-IMM guidato dal ricercatore Luigi Mariucci ha coordinato il lavoro dei partner di Roma. “Come substrato si è usato un polimero elastomerico: in questo modo si è ottenuto un dispositivo flessibile, poco costoso e facile da realizzare. Lo studio delle interazioni e gli accoppiamenti tra i materiali utilizzati per la realizzazione del rivelatore giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo di sensori sempre più performanti”, conclude Branchini.

“Tutti gli elementi che compongono il dispositivo, i semiconduttori organici, i polimeri e i contatti elettrici, devono rimanere stabili nel tempo e non degradarsi durante l’irraggiamento, un requisito assai stringente per molti materiali inorganici comunemente utilizzati per realizzare dispositivi elettronici”, aggiunge Sara Maria Carturan, docente dell’Università di Padova e ricercatrice INFN, coordinatrice dell’attività di sintesi e sviluppo dello scintillatore elastomerico, presso i Laboratori Nazionali di Legnaro dell’INFN. “I rivelatori proposti mantengono le funzionalità inalterate sotto fasci di protoni ad alta energia grazie all’utilizzo di materiali ibridi organico/inorganico con caratteristiche chimiche e fisiche modificabili in funzione del loro utilizzo”.

“Il rivelatore ha dimostrato ottime capacità di rivelare in tempo reale irraggiamenti protonici intensi, come quelli utilizzati in protonterapia, mostrando, un’eccellente stabilità elettronica e resistenza alla radiazione ionizzante. I sensori sono infatti già stati testati in condizioni operative reali presso il Laboratorio di tecniche nucleari per l’Ambiente e i Beni Culturali (LABEC) dell’INFN, utilizzando la strumentazione e le condizioni di lavoro impiegate nei protocolli medici di protonterapia, e inserendoli all’interno di fantocci di forme antropomorfe che simulano in 3D le parti del corpo umano su cui verrà effettuato il trattamento”, concludono Alberto Aloisio, docente dell’Università Federico II di Napoli, ed Ettore Sarnelli, ricercatore dell’Istituto CNR-SPIN di Pozzuoli, entrambi della Sezione INFN di Napoli.

Finanziato dalla Commissione Scientifica Nazionale 5 dell’INFN, che si occupa di ricerca tecnologica per favorire gli sviluppi applicativi delle tecnologie nate dalla ricerca fondamentale in fisica delle particelle, il progetto FIRE si concentra sullo sviluppo di una nuova generazione di dispositivi elettronici a base di materiali organici e flessibili per la rivelazione di radiazione ionizzante. “Da sempre l’INFN è impegnato nelle ricerche legate alla fisica medica, e in particolare allo sviluppo di tecnologie innovative per la diagnostica e la terapia dei tumori”, racconta Alberto Quaranta, Presidente della Commissione 5 dell’INFN, docente dell’Università di Trento e ricercatore dell’Istituto INFN di Fisica Fondamentale e Applicazioni di Trento (TIFPA). “Nel caso di FIRE, i rivelatori realizzati non solo presentano maggiori sensibilità e resistenza alla radiazione rispetto ai dispositivi convenzionali ma, cosa più importante, permettono l’analisi in tempo reale della dose rilasciata dalle radiazioni. Questa ultima caratteristica costituisce un passo avanti di enorme importanza rispetto ai sistemi attualmente utilizzati nel controllo delle terapie cliniche. Dispositivi di questo tipo potranno diventare molto presto uno strumento prezioso di supporto per la definizione dei piani terapeutici e per la sicurezza e la radioprotezione dei pazienti oncologici. Oltre a finanziare il progetto, l’INFN ha svolto un ruolo centrale nelle attività di ricerca attraverso le sezioni di Bologna, Firenze, Napoli, Padova e Roma3, i Laboratori Nazionali di Legnaro e il TIFPA”.  

Per consultare l’articolo: https://www.nature.com/articles/s41528-022-00229-w.epdf?sharing_token=GC3bvYfZeFGSwDqHs7u0WdRgN0jAjWel9jnR3ZoTv0NQAVh3WTLw4yZ8HZdl35BjDgs4FJ1XLrhpH3WO4intRXe9mjHfHXnsY8Fy9HLNbPhokRRRTpy7QW3DyrCmjQ2c1hSCBbf8zBdWsYEcSur5E1F1gHXtPEVHQtaWH9CGBrw%3D

I LABORATORI DEL GRAN SASSO RACCONTANO ALLE SCUOLE LA STORIA DEL NOSTRO SOLE

I LABORATORI DEL GRAN SASSO RACCONTANO ALLE SCUOLE LA STORIA DEL NOSTRO SOLE

Quindici anni di attività di Borexino hanno permesso di conoscere, con un dettaglio senza precedenti, i meccanismi che alimentano il Sole. Per celebrare i molti traguardi scientifici raggiunti dall’esperimento, attivo nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’INFN tra il 2007 e il 2021, e ripercorrere le fasi salienti dello studio della nostra stella dall’antichità ai giorni nostri, i Laboratori hanno organizzato un grande evento trasmesso in diretta su YouTube ieri, 22 febbraio, a cui hanno partecipato quasi 3000 studenti e studentesse di tutta Italia.
Borexino ha osservato i neutrini provenienti dalla nostra stella, attraverso un sistema di rivelazione avanzatissimo, permettendo così di conoscere meglio entrambi i processi che alimentano il Sole: la catena protone-protone e il ciclo CNO (carbonio-azoto-ossigeno). Grazie agli eccezionali livelli di radiopurezza raggiunti, nel corso degli anni Borexino non si è limitato a raggiungere gli obiettivi per cui era stato costruito ma è anche riuscito a ottenere notevoli risultati di valore nell’ambito della geofisica: ha osservato per la prima volta i geoneutrini prodotti dai processi di decadimento radioattivo di uranio e torio distribuiti nel mantello terrestre.
L’evento, dal titolo “Neutrini solari e massimi sistemi”, è stata così l’occasione per raccontare alle migliaia di ragazzi e ragazze collegate che cosa sono i neutrini, perché sono utili per conoscere meglio come funzionano le stelle, di Borexino e di come sia riuscito a ottenere i grandi risultati grazie ai quali ha conquistato anche le copertine delle principali riviste scientifiche internazionali. Risultati che hanno confermato i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN come un laboratorio di avanguardia nel campo della fisica neutrini.
A dare il via all’incontro, introdotto e moderato da Ezio Previtali, direttore dei LNGS-INFN, è stato un intervento storico di Lucio Russo, fisico, matematico e storico della scienza. La giornata è poi proseguita con i contributi dei ricercatori INFN Francesco Vissani e Nicola Rossi, che hanno descritto il ruolo dei neutrini nella comprensione dei meccanismi che alimentano le stelle e il funzionamento dell’esperimento Borexino, e si è conclusa con una sessione di interventi dedicati alla comunità scientifica, che hanno tracciato il passato, il presente e il futuro dell’attività di ricerca nello studio dei neutrini solari e nel campo dell’astrofisica ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN.

ET: SCIENZA E IMPRESA SI INCONTRANO ALL’ETIC INDUSTRY DAYS

ET: SCIENZA E IMPRESA SI INCONTRANO ALL’ETIC INDUSTRY DAYS

Si è svolto il 15 e 16 febbraio a EGO, l’Osservatorio Gravitazionale Europeo, sede dell’interferometro Virgo, l’ETIC Industry days, un incontro di due giorni rivolto al mondo imprenditoriale italiano per discutere le opportunità di collaborazione nella ricerca e sviluppo tecnologico per l’Einstein Telescope (ET). L’evento, organizzato dalle sezioni INFN e dai dipartimenti universitari che fanno parte del consorzio ETIC (Einstein Telescope Infrastructure Consortium) – il progetto finanziato con 50 milioni di euro nell’ambito della Missione 4 del PNRR coordinata dal Ministero dell’Università e della Ricerca per sostenere la candidatura italiana a ospitare ET – , in collaborazione con l’Industrial Liaison Officer (ILO) del CERN, ha visto la partecipazione di oltre 50 tra aziende e rappresentanti del mondo industriale.

Proposto e coordinato dall’INFN, ETIC riunisce università ed enti di ricerca nazionali e si occuperà della preparazione e della realizzazione dello studio di fattibilità e della caratterizzazione del sito italiano individuato per ospitare ET, la miniera dismessa di Sos Enattos, nel Nuorese, e della creazione di una rete di laboratori di ricerca per lo sviluppo delle tecnologie che saranno adottate dal nuovo osservatorio gravitazionale.

“Il mondo delle imprese e dell’industria ha risposto con grande interesse al nostro invito a confrontarsi e discutere le sfide scientifiche e tecnologiche poste da ET, in vista di future collaborazioni”, ha dichiarato il ricercatore dell’INFN Michele Punturo, coordinatore internazionale della Collaborazione Scientifica ET e principal investigator di ETIC. “Abbiamo raccolto oltre 50 adesioni, che coprono ambiti tecnologici fondamentali per la ricerca di punta legata alle onde gravitazionali, come le ottiche ad alta precisione, l’elettronica o la meccanica di precisione, da parte sia delle piccole e medie industrie sia dei veri e propri colossi del mondo industriale italiano”.

“Abbiamo condiviso e supportato fortemente la scelta della Collaborazione Scientifica di ET e dell’INFN di ospitare a EGO, l’Industrial ETIC day – ha dichiarato il direttore di EGO e professore dell’Università Milano Bicocca, Massimo Carpinelli – Virgo è l’unico interferometro in Europa in grado di rivelare le onde gravitazionali e questo dà Virgo e a EGO un ruolo esclusivo per la formazione dei futuri scienziati di ET, e per la ricerca e lo sviluppo delle tecnologie del futuro rivelatore, come quelle, decisive, legate al vuoto, all’ottica o alle sospensioni”.

 

 

 

 

 

L’INFN PER M’ILLUMINO DI MENO

L’INFN PER M’ILLUMINO DI MENO

Giovedì 16 febbraio, Giornata Nazionale del Risparmio Energetico e degli Stili di Vita Sostenibili, l’INFN aderisce a ‘M’illumino di meno’, campagna organizzata dal programma radiofonico di RaiRadio 2 Caterpillar, che promuove l’adozione di comportamenti e scelte rispettose delle risorse ambientali e rivolte alla salvaguardia del nostro pianeta. L’INFN, già da diversi anni impegnato in un programma di efficientamento energetico delle proprie infrastrutture, si impegnerà a spegnere, al termine della giornata lavorativa, l’illuminazione di uffici e aree comuni all’interno dei suoi quattro Laboratori Nazionali di Frascati, di Legnaro, del Gran Sasso e del Sud (Catania), per una durata tale da garantire la sicurezza e il normale svolgimento delle attività sperimentali di ogni sito.

Le attività sperimentali condotte dall’INFN per le proprie ricerche in fisica fondamentale, spesso richiedono molta energia, ma al contempo anche lo sviluppo di materiali e tecnologie, che possono rendere più efficiente il trasferimento di quella stessa energia e da cui può quindi trarre beneficio anche la società. Questa è la ragione per cui uno degli obiettivi principali dell’ente riguarda proprio il trasferimento delle tecnologie nate nell’ambito della ricerca di base sulle particelle elementari.

A dimostrazione dell’attenzione che l’INFN rivolge nei confronti di un settore nevralgico come quello energetico, il progetto INFN Energia, nato per sviluppare e sostenere, grazie alle competenze dell’Istituto, anche le iniziative dedicate alla realizzazione di tecnologie dedicate a ottenere energia dalla fissione nucleare. Un ulteriore caso esemplificativo è rappresentato da IRIS, progetto finanziato nell’ambito del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza: un’infrastruttura distribuita su tutto il territorio nazionale che avrà lo scopo di sviluppare tecnologie superconduttive sia per la fisica delle particelle che per applicazioni civili, come cavi di connessione per il trasporto di energia elettrica e la riduzione delle perdite energetiche.

Parallelamente ai progetti focalizzati su ricerca e sviluppo, dal punto di vista del consumo energetico, l’INFN è inoltre impegnato nell’implementazione di scelte che siano sostenibili sia dal punto di vista ambientale che economico. Azioni specifiche volte a diminuire i consumi e aumentare l’efficientamento energetico sono state intraprese dai Laboratori Nazionali dell’INFN: dall’installazione di sensori di movimento per il controllo dell’illuminazione delle aree comuni, alla sostituzione delle vecchie tipologie di lampade con LED a basso consumo, fino ad arrivare al recupero termico del calore prodotto dai gruppi frigoriferi
necessari per il raffreddamento delle sale calcolo, riutilizzato per il riscaldamento
degli edifici adibiti prevalentemente ad uso uffici.

LA MEDAGLIA GALILEO GALILEI 2023 A ZVI BERN, LANCE DIXON E DAVID KOSOWER

LA MEDAGLIA GALILEO GALILEI 2023 A ZVI BERN, LANCE DIXON E DAVID KOSOWER

Il premio è stato assegnato per lo sviluppo di potenti metodi di calcolo teorico per i processi di collisione che avvengono nei grandi acceleratori di particelle. Questi metodi sono stati essenziali per confrontare le previsioni teoriche con i risultati sperimentali ottenuti al Large Hadron Collider del CERN.

I fisici Zvi Bern, Lance Dixon e David Kosower sono stati insigniti della Medaglia Galileo Galilei 2023, premio assegnato ogni due anni dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) con il Galileo Galilei Institute (GGI), il suo Centro Nazionale per la Fisica Teorica in partnership con l’Università di Firenze, a ricercatori e ricercatrici che hanno dato un contributo eccezionale al progresso delle ricerche in fisica teorica.
Il Premio, annunciato oggi 15 febbraio, nella ricorrenza del compleanno del grande scienziato Galileo Galilei, è stato assegnato a Zvi Bern, Lance Dixon e David Kosower “per lo sviluppo di potenti metodi per il calcolo perturbativo di alto ordine nella teoria quantistica dei campi.”

“All’inizio degli anni Novanta c’era un problema: cercare di sfruttare al massimo i collisori di particelle in costruzione, come LHC al CERN. Un collisore è una macchina molto complicata costruita per cercare di imparare i segreti della natura: fa collidere i protoni, composti da quark e gluoni, che interagiscono tra loro attraverso una forza, chiamata forza forte, che i teorici delle particelle chiamano QCD, Cromodinamica quantistica, dove cromo corrisponde ai colori dei quark e dei gluoni scambiati nelle collisioni”, spiega Lance Dixon. “E noi siamo riusciti a convertire una proprietà della QCD, nota come unitarietà, in uno strumento utile a fare calcoli più precisi, sia per i processi a LHC sia per quelli più semplici.”

“Inizialmente, il nostro obiettivo era quello di perfezionare e migliorare gli strumenti teorici a disposizione dei fisici sperimentali in fisica delle particelle. Abbiamo quindi sviluppato metodi nuovi e più efficienti per eseguire i calcoli teorici. Questi metodi ci hanno permesso di eseguire molti più calcoli e di raggiungere una precisione molto più elevata di quanto fosse possibile in precedenza”, aggiunge David Kosower. “Tali sviluppi hanno permesso a una nuova generazione di ricercatori di continuare a sviluppare nuove tecniche e nuovi calcoli per LHC, ma anche di creare connessioni con molte altre branche della fisica: sono nati nuovi collegamenti molto interessanti tra teorie come la cromodinamica quantistica e la gravità.”

“Quando David Kosower, Lance Dixon e io abbiamo iniziato a pensare alle cosiddette ampiezze di scattering, ai più sembrava che tutte le idee importanti fossero già state sviluppate. Negli anni ’50 e ’60, l’argomento non era di grande interesse, ma noi tre avevamo un punto di vista diverso,” racconta Zvi Bern. “Il percorso per convincere la comunità che c’era qualcosa di profondo e interessante nelle ampiezze di scattering non è stato facile: quando abbiamo iniziato, tutte le persone interessate all’argomento potevano stare in un piccolo sgabuzzino. Ora, invece, il problema è trovare aule sufficientemente grandi per le conferenze e i workshop. Mi meraviglio sempre del fatto che non siamo più gli unici a trovare gioia nello studio di questo argomento.”

“Le mie più sincere congratulazioni ai vincitori della Medaglia Galileo Galilei 2023, che sono anche grandi amici del GGI, avendo contribuito molto alle attività dell’istituto con la loro partecipazione a diversi programmi di ricerca e conferenze”, commenta Stefania De Curtis, direttrice del GGI. “Il lavoro di Bern, Dixon e Kosower ha avuto un ruolo centrale nel migliorare la nostra capacità di confrontare teoria ed esperimenti ai collisori di particelle, ma anche per estrarre informazioni dagli osservatori di onde gravitazionali. I fisici tendono spesso a considerare risultati eccezionali quelli derivanti da nuove teorie che nascono da nuovi principi. Tuttavia, a volte questi nascono da un’attenta reinterpretazione di principi già noti. È questo il caso degli eccezionali risultati ottenuti da Bern, Dixon e Kosower: una rivoluzione nella nostra comprensione dei processi coinvolti nelle collisioni di particelle, che migliora notevolmente la nostra capacità di scoprire i fenomeni fisici sottostanti.”

Zvi Bern è professore e direttore dell’Istituto “Mani L. Bhaumik” per la fisica teorica dell’Università della California, a Los Angeles. Insieme a Dixon e Kosower, è uno dei fondatori del campo di ricerca delle ampiezze di scattering nelle teorie di campo quantistiche. Ha lavorato in vari campi della fisica teorica, tra cui la supergravità, la teoria di gauge supersimmetrica, la fisica del Large Hadron Collider e, più recentemente, la fisica delle onde gravitazionali.

Lance Dixon è professore di fisica teorica allo SLAC Stanford Linear Accelerator Center dell’Università di Stanford e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti. È stato visiting scientist presso l’Università di Cambridge, l’Università di Durham, l’Ecole Normale Supérieure, il CERN, il Perimeter Institute, il Caltech, il Politecnico di Zurigo e l’Università di Zurigo e ha ricevuto il Premio Sakurai dell’American Physical Society per le sue ricerche sulle ampiezze di scattering (2014) e l’Humboldt Research Award (2017).

David A. Kosower è ricercatore presso l’Institut de Physique Théorique del CEA a Saclay, in Francia. Dopo la laurea e il dottorato conseguito all’Università di Harvard, ha lavorato presso la Columbia University, il Fermi National Accelerator Laboratory e il CERN. È stato visiting scientist presso l’Università di Zurigo, il Weizmann Institute, il California Institute of Technology, l’Institute for Advanced Study, l’Accademia cinese delle scienze (Pechino) e il CERN. Nel corso degli anni la sua ricerca è stata sostenuta da borse di studio della NATO e dell’EGIDE, dall’Agenzia Nazionale di Ricerca francese (ANR) e soprattutto dal Consiglio Europeo della Ricerca.

Il premio Medaglia Galileo Galilei
Il premio Medaglia Galileo Galilei è stato istituito nel 2018 dall’INFN in onore di Galileo Galilei (1564-1642), padre fondatore del metodo scientifico e della fisica moderna, in occasione della trasformazione del GGI in Centro Nazionale di Studi Avanzati dell’INFN, in partnership con l’Università di Firenze. La Medaglia Galileo Galilei viene assegnata ogni due anni, a partire dal 2019, da un apposito comitato di selezione internazionale nominato dall’INFN. La medaglia viene assegnata al massimo a tre scienziati che nei 25 anni precedenti alla data del premio hanno conseguito rilevanti risultati nel campo della fisica teorica delle interazioni fondamentali tra particelle elementari, inclusa la gravità e i fenomeni nucleari.
I componenti del comitato di selezione per la Medaglia Galileo Galilei 2023 sono Eliezer Rabinovici (Hebrew University – chair), Graciela Gelmini (UCLA), Juan Martin Maldacena (Institute for Advanced Study), Michael E. Peskin (SLAC/Stanford University), Mikhail Shifman (University of Minnesota).
La Medaglia Galileo Galilei 2021 è stata assegnata ad Alessandra Buonanno, Thibault Damour e Frans Pretorius “per la comprensione fondamentale delle sorgenti di radiazione gravitazionale attraverso tecniche analitiche e numeriche complementari, che hanno permesso di fare previsioni che sono state confermate dalle osservazioni delle onde gravitazionali e che ora sono strumenti chiave in questa nuova branca dell’astronomia.”
Mentre, il vincitore della Medaglia Galileo Galilei 2019 è Juan Martin Maldacena “per le sue idee pionieristiche nella fisica teorica, e in particolare per la scoperta della dualità tra gravità e teoria quantistica dei campi, con implicazioni di vasta portata.”

La Medaglia
La Medaglia Galileo Galilei è stata realizzata da un famoso laboratorio fiorentino, Picchiani&Barlacchi, che ha una tradizione ultracentenaria di produzione di medaglie artistiche e commemorative, targhe e trofei. Nel laboratorio la lavorazione dei prodotti segue metodi tradizionali, quali il disegno, la creazione del modello in gesso, la fusione e la rifinitura del modello, la riduzione a pantografo, la produzione del punzone e del conio.

Il GGI
Il Galileo Galilei Institute è il primo centro europeo nato con l’obiettivo di ospitare programmi di ricerca avanzati a lungo termine, dedicati alla fisica teorica delle interazioni fondamentali. Ha sede a Firenze, sulla collina di Arcetri, sito storicamente rilevante per la fisica e l’astronomia dove Galilei trascorse gli ultimi anni della sua vita. Il GGI, che è il Centro Nazionale di Studi Avanzati dell’INFN, organizza annualmente scuole di dottorato dedicate alla teoria delle stringhe e dei campi, alla fisica teorica delle particelle elementari, alla fisica teorica nucleare e alla meccanica statistica e alla fisica astroparticellare e alla cosmologia.

Medaglia Galileo Galilei 2023 – il video

Medaglia Galileo Galilei 2023 – video interviste ai vincitori

Press Kit con video e immagini

ISTITUITO DAL MUR IL COMITATO TECNICO SCIENTIFICO PER LA CANDIDATURA DELL’ITALIA A OSPITARE ET

ISTITUITO DAL MUR IL COMITATO TECNICO SCIENTIFICO PER LA CANDIDATURA DELL’ITALIA A OSPITARE ET

NOTA STAMPA. “Ringraziamo il Ministro Anna Maria Bernini per l’istituzione di un comitato scientifico ad hoc per sostenere la candidatura italiana a ospitare Einstein Telescope, la grande infrastruttura di ricerca europea di prossima generazione per lo studio delle onde gravitazionali. E ringraziamo il premio Nobel Giorgio Parisi per il suo impegno nel presiedere questo nuovo gruppo di lavoro”, commenta Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. “Quella italiana è una candidatura molto forte. Il sito individuato, nella ex-miniera di Sos Enattos, in Sardegna, offre caratteristiche ideali per ospitare ET, e l’Italia sta affrontando la competizione con grande spirito di squadra tra istituzioni scientifiche e politiche con MUR e Regione Autonoma della Sardegna in prima linea. Inoltre, possiamo contare sulle competenze multidisciplinari delle comunità scientifiche italiane coinvolte nel progetto, e sull’esperienza specifica della comunità dell’INFN che da cinquant’anni è tra i protagonisti mondiali delle ricerche sulle onde gravitazionali premiate con il Nobel nel 2017”, conclude Zoccoli.

Del Comitato tecnico scientifico per la candidatura italiana per ET, istituito ieri 9 febbraio con la firma del decreto da parte del Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, e presieduto dal Premio Nobel Giorgio Parisi, ne fanno parte anche l’ambasciatore Ettore Sequi, Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, e gli scienziati Marica Branchesi e Fernando Ferroni, del Gran Sasso Science Institute e dell’INFN, e Antonio Zoccoli, Presidente dell’INFN.

ET Einstein Telescope. È il progetto europeo più ambizioso nel campo della fisica gravitazionale e, candidato da una cordata internazionale guidata dall’Italia, è stato inserito nella roadmap ESFRI, lo European Strategy Forum on Research Infrastructure che individua le infrastrutture di ricerca su cui l’Europa ritiene sia decisivo investire. Lo studio di fattibilità di ET è stato sviluppato grazie a un finanziamento della Commissione Europea, e successivamente un consorzio di Paesi e di Istituti di ricerca e Università europei, con l’Italia capofila, ha formalizzato la proposta per la sua realizzazione. ET sarà un osservatorio terrestre di prossima generazione per lo studio delle onde gravitazionali. Sarà in grado di rivelare segnali gravitazionali con una sensibilità tale da esplorare una porzione di universo di gran lunga maggiore rispetto agli attuali esperimenti. Questo permetterà, per esempio, di studiare le popolazioni di buchi neri, di osservare per la prima volta nuovi fenomeni astrofisici, di indagare il modello cosmologico che descrive l’evoluzione dell’universo, di contribuire alla comprensione della natura della materia oscura.
ET sarà un interferometro sotterraneo che utilizzerà tecnologie estremamente potenziate rispetto a quelle implementate negli attuali rivelatori, Advanced Virgo e Advanced LIGO, nel campo della fotonica, dell’ottica, della meccanica di precisione, dell’elettronica, della criogenia, della scienza dei materiali e del computing avanzato.

Sos Enattos, Sardegna: il sito ideale. Per operare al meglio delle sue potenzialità, l’osservatorio ET dovrà essere realizzato in un’area geologicamente stabile e scarsamente abitata: le vibrazioni del suolo (di origine sia naturale sia antropica) possono, infatti, mascherare il debole segnale generato dal passaggio di un’onda gravitazionale. 
Attualmente sono in fase di valutazione due siti per ospitare la nuova grande infrastruttura: uno in Italia, in Sardegna, all’interno della miniera dismessa di Sos Enattos nel Nuorese, e l’altro nell’Euregio Mosa-Reno, ai confini di Belgio, Germania e Paesi Bassi. Gruppi di studio multidisciplinari stanno lavorando alla caratterizzazione dei due siti per valutarne l’idoneità, e una decisione sulla futura localizzazione di ET sarà presa entro il 2025. Un gruppo di lavoro, guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), dell’INFN e dell’Università degli Studi di Sassari, sta dunque conducendo studi mirati per la caratterizzazione del sito della miniera metallifera ormai dismessa di Sos Enattos in Sardegna, territorio “silenzioso” dal punto di vista sismico e antropico, grazie al supporto dell’IGEA S.p.A., società che ora la gestisce.

Una risorsa per il territorio e il Paese. Al di là del grande valore scientifico, la realizzazione nel sito sardo di una grande infrastruttura di ricerca europea come ET avrebbe un positivo e significativo impatto socioeconomico sul territorio e per tutto il nostro Paese. Il futuro rivelatore gravitazionale rappresenta, infatti, un’occasione di sviluppo unica nel suo genere: si tratta di un investimento infrastrutturale di almeno un miliardo e mezzo di euro in grado di spingere l’innovazione tecnologica e l’industria e, sul lungo termine, di divenire un grande polo scientifico internazionale, capace di attrarre risorse e ricercatori dall’estero. Rappresenta quindi un motore di sviluppo, innovazione, crescita economica e sociale per la Sardegna, l’Italia e l’Europa.

La scuola italiana delle onde gravitazionali. L’Italia, grazie all’INFN, ha una prestigiosa tradizione e una riconosciuta leadership internazionale nella ricerca delle onde gravitazionali, con competenze e conoscenze, sia scientifiche sia di sviluppo tecnologico, acquisite con un’esperienza di lungo corso nella progettazione e realizzazione di rivelatori gravitazionali. L’INFN è tra i pionieri e iniziatori a livello mondiale degli esperimenti per la rivelazione delle onde gravitazionali, su questo ha creato una vera e propria comunità delle onde gravitazionali in grado di fare scuola, e ha fondato, assieme al francese CNRS, Virgo, uno dei soli tre interferometri al mondo che ad oggi hanno osservato i segnali gravitazionali. Virgo si trova in Italia, vicino a Pisa, all’Osservatorio Gravitazionale Europeo EGO, e assieme agli altri due interferometri LIGO, che si trovano negli Stati Uniti, è stato protagonista delle scoperte che hanno portato al Premio Nobel per la Fisica nel 2017, e alla nascita dell’astronomia gravitazionale e dell’astronomia multimessaggera, due modi completamente nuovi di studiare il cosmo e l’universo.

 

 

 

 

MASTERCLASS IN FISICA DELLE PARTICELLE: OLTRE 2800 LE STUDENTESSE E GLI STUDENTI ISCRITTI

MASTERCLASS IN FISICA DELLE PARTICELLE: OLTRE 2800 LE STUDENTESSE E GLI STUDENTI ISCRITTI

Dal 10 febbraio al via la 19° edizione delle International Masterclasses sulla fisica delle particelle, delle astro-particelle e la fisica medica

Sono oltre 2800 le studentesse e gli studenti delle scuole superiori di tutta Italia che partecipano alle International Masterclasses sulla fisica delle particelle, l’iniziativa internazionale che porta migliaia di studenti di tutto il mondo in un viaggio alla scoperta dell’infinitamente piccolo.

Le International Masterclasses, coordinate in Italia dall’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e organizzate in collaborazione con le università, si svolgeranno tra il 10 febbraio e il 6 aprile con oltre 60 eventi negli atenei di 26 città italiane. Gli studenti e le studentesse, che parteciperanno in contemporanea con i loro coetanei di altri Paesi, potranno capire come funziona la ricerca in fisica delle particelle analizzando direttamente i dati di alcuni tra i più importanti esperimenti del CERN di Ginevra e del KEK di Tsukuba, esploreranno i segreti delle astroparticelle con i dati dell’osservatorio Pierre Auger nella Pampa argentina, e scopriranno come la ricerca in fisica può aiutare la medicina.

Quest’anno si inizia il 10 febbraio, in occasione dell’International Day of Women and Girls in Science, con le masterclass del CERN dedicate alle donne nella ricerca scientifica, organizzate nelle Sezioni INFN di Cosenza, Genova, Roma, Roma Tor Vergata e Roma 3, e una Masterclass in Particle Therapy organizzata dalla Sezione di Pavia in collaborazione con il CNAO – Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica. Gli incontri proseguono la settimana successiva con le masterclass di Cagliari, Firenze, Frascati, Milano Bicocca e Modena, per continuare fino al 6 aprile con molti altri eventi.

Durante le masterclass dedicate al CERN, ogni sede organizza una o più giornate di lezioni e seminari sugli argomenti fondamentali della fisica delle particelle, seguite da esercitazioni al computer in cui gli studenti e le studentesse possono analizzare i dati degli esperimenti dell’acceleratore di particelle LHC (ATLAS, CMS, ALICE o LHCb). Potranno usare i veri dati di LHC per simulare negli esercizi l’epocale scoperta del bosone di Higgs, avvenuta nel 2012, ma anche quella dei bosoni W e Z (proprio quelli che nel 1984 valsero il Premio Nobel a Carlo Rubbia), e potranno conoscere ancora altre particelle ed esplorarne caratteristiche e proprietà peculiari.

Oltre ai dati degli esperimenti del CERN, alcune masterclass sono dedicate all’esperimento BELLEII del laboratorio KEK di Tsukuba in Giappone. Mentre le Sezioni INFN di Cosenza, Milano, Pavia e Torino partecipano alle Masterclass in Particle Therapy, in collaborazione con il CNAO, per far scoprire agli studenti le applicazioni mediche della fisica delle particelle.

Novità assoluta di quest’anno sono le Masterclass che le Sezioni di Lecce, Napoli e Catania e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN organizzano sull’esperimento Auger, che dalla pampa argentina studia le astroparticelle.

Alla fine di ogni giornata, proprio come in una vera collaborazione di ricerca internazionale, si organizza un collegamento in videoconferenza tra i giovani partecipanti alle masterclass di tutto il mondo e il laboratorio che ha prodotto i dati su cui si sono svolte le esercitazioni per discutere insieme i risultati emersi.

L’iniziativa, giunta alla 19° edizione, fa parte delle International Masterclasses organizzate da IPPOG (International Particle Physics Outreach Group) e, in Italia, dall’INFN. Le masterclass si svolgono contemporaneamente in 60 diversi paesi, coinvolgono oltre 200 tra i più prestigiosi enti di ricerca e università del mondo e più di 13.000 studenti delle scuole secondarie di II grado. Per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare quest’anno sono presenti le Sezioni di Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Cosenza, Ferrara, Firenze, Genova, L’Aquila, Lecce, Milano Bicocca, Milano, Napoli, Padova, Parma, Pavia, Perugia, Pisa, Roma, Roma Tor Vergata, Roma Tre, Salerno, Torino, Trieste, Trento e Udine, e i Laboratori Nazionali di Frascati (LNF) e i Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS).

Informazioni sulle Masterclass:

Masterclass italiane: http://masterclass.infn.it/
Masterclass internazionali: http://physicsmasterclasses.org/neu/